La domenica letteraria

STORIE DI VITA RIVISITATE E RACCONTATE DA UN MEDICO DI FAMIGLIA 

(... quando il medico diventa la medicina, la terapia, ma egli stesso riceve cure, stimoli ed insegnamenti dai suoi pazienti)

Ora è possibile ripensare e riflettere sulle storie di vita di molti miei pazienti. Ora che non sono più ostaggio del tempo e delle incombenze quotidiane del medico, ora che sono libero dalle ossessioni del periodo Covid e dalla pletora di pazienti sempre più numerosi, esigenti e fedeli, posso dedicarmi a loro in maniera differente. 

MADRI
 Credo che la modalità di agire gli eventi della propria vita e quella di interagire con gli altri sia prossima al modo in cui ci si ammala; credo anche che esista la possibilità per ognuno di conoscere e di modificare questa modalità. Questo è per me fare prevenzione, oltre che modificare gli stili di vita, questo è acquisire salute e mantenerla il più a lungo possibile.
  Conoscersi è fondamentale per cambiare.
 Le storie sono vere, i nomi inventati, il punto di vista e le riflessioni sono mie.
 Nuccia, Nella e Lea erano mie pazienti che in comune avevano il medico, il quartiere dove vivevano e una tragica storia di vita: tutte e tre avevano perso le figlie in giovane età. Uniche figlie quelle di Nuccia ed Elma, unica femmina quella di Nella, ultima di quattro figli. Le accomunava inoltre l’esperienza dell’essere state sole a sopportare il dolore dell’assenza delle figlie; gli uomini avevano preferito in qualche modo andarsene: chi era morto, chi si era ammalato e chi era sparito.
 Alla tragica esperienza di un grave conflitto di separazione e perdita, ognuna ha reagito in modo diverso, si è ammalata in modo diverso.  
 
Storia 4: Nella
 Il primo incontro con Nella non è stato facile. Mi aveva chiesto di andare a visitarla a casa. Mi aveva scelto come suo medico da pochi giorni. La sua abitazione era distante qualche km dallo studio. Situazione che mi aveva maldisposto nei suoi confronti, perché non comprendevo i motivi di tale scelta scomoda per tutti. Andavo a trovarla più per convincerla a cambiare medico che per visitarla. Abitava all’ultimo piano di un palazzo in un quartiere di case popolari di periferia, prossimo agli stabilimenti Fiat. Dignitosa l’abitazione, deprimente il contesto. Nella mi accoglie sull’uscio di casa, donna obesa, di bassa statura, guance rubiconde, lieve affanno, sguardo fisso come un marmo, quasi assente, perso dentro tratti stravolti. L’abitazione è grande, lei è da sola. Con una voce stridula mi invita ad entrare, mi accomodo in cucina.  È ora di pranzo, ma il tavolo è sgombro, non si sentono odori di cibo in preparazione.  Le pareti spoglie, ad eccezione di un calendario, l’aria profumata di pulito. Le chiedo spiegazioni sul perché mi avesse scelto come medico: il figlio che viveva con lei l’aveva fatto, perché ogni giorno passava davanti al mio studio per recarsi al lavoro. Quei pochi minuti passati con lei, la sua espressione di sofferente lontananza dalla realtà, avevano smussato la mia determinazione a favore dell’attenzione verso quella donna di chiare origini meridionali, con un alone di inconsolabile, malcelata, globale sofferenza.
Era da un po' che non la visitava un medico, lei che soffriva di diabete, ipertensione arteriosa, aritmia cardiaca e marcato stato depressivo. Quello che maggiormente le creava difficoltà era il dormire poco e l’avere sempre un peso ingombrante proprio dietro lo stomaco che solo il cibo riusciva ad alleggerire. La prendo a cuore anche perché mi ricorda molte donne del mio paese che vivono con fatica e sofferenza la loro vita, ognuna con i suoi segreti e le sue inconsolabili sofferenti giornate.
 La rivedo nelle successive settimane. Le chiedo sue notizie in generale: come vive, con chi vive. Cerco di farmi raccontare i modi della sua giornata per instaurare confidenza e fiducia.
 Vive con un figlio maschio non sposato, ha altri due figli maschi che sono sposati e vivono lontani. Il marito è morto anni prima di non sa che cosa, ma confessa che forse non aveva più voglia di vivere.
 ” Perché sa dottore...”,
 Si siede sul letto lentamente, con il corpo più pesante e malfermo di quanto già non lo fosse. Si copre il volto con la mano e stringe gli occhi sforzandosi di reprimere il pianto.  Sembra stia sprofondando. Dopo qualche istante trova la forza di raccontarmi la storia della figlia.
 Era successo un lunedì di novembre di anni prima. A. la figlia di Nella era morta in circostanze misteriose. In quel periodo tutta la famiglia abitava insieme: moglie, marito e quattro figli, tre maschi e una femmina, l’ultima nata. A. era una giovane colf di soli 20 anni. Da tre anni aveva una relazione con un ragazzo.  Si riconosceva per la sua chioma di lunghi capelli biondi, una ragazza tranquilla e seria, dedita al lavoro. Si guadagnava lo stipendio facendo le pulizie in due appartamenti e aspirava a diventare parrucchiera.
 Quel giorno, alle 10:30 si sente al telefono con S., una delle due donne per le quali lavora come domestica, che le fornisce alcune indicazioni sulle attività di pulizia da fare. Poco prima delle 11 viene chiamata da una zia. La mattinata sembra scorrere in modo regolare e la situazione appare tranquilla. Sono le 13:20 quando S torna a casa. Subito nota qualcosa di strano. Lo straccio e il secchio per pulire sono in mezzo al corridoio, come se il lavoro fosse stato improvvisamente interrotto. Si dirige verso il bagno ove trova Il corpo di A.  senza vita nella vasca. S. inizialmente non si rende conto della gravità della situazione; infatti estrae il corpo della vittima dalla vasca compromettendo la scena del crimine che si fa intricata e senza risposte, rendendo ancora più difficile per gli investigatori giungere a una soluzione. Le indagini condotte dagli inquirenti si scontrarono subito con una serie di dettagli, come la presenza di acqua nei polmoni di A. riscontrata durante l’autopsia. Indicava chiaramente che la giovane fosse stata affogata ma rimaneva la domanda sul perché si trovasse nella vasca da bagno. Gli investigatori esclusero anche l’ipotesi di un’overdose, poiché non furono trovate tracce di droga nel suo sangue.
 Furono trovati dei diari, da cui si evinsero particolari della sua vita. Questi diari mostrarono agli investigatori i diversi stati d’animo della giovane e le tensioni nella sua relazione con il fidanzato, che però non sembravano sfociare in episodi violenti. Le indagini rivelarono anche che poco prima del suo omicidio, un vicino sentì delle urla provenire dall’appartamento. Sulla scena del crimine furono rinvenute delle impronte, insieme a un cerotto nelle vicinanze della vasca, che si pensava potesse essere stato utilizzato per legare A. Le tracce sul polso della vittima confermarono la presenza di una sostanza simile alla colla del cerotto. Tuttavia, nonostante gli sforzi incessanti degli investigatori, nessuna di queste prove portò mai a un sospettato definitivo. A distanza di anni dall’omicidio di A. il mistero della sua morte rimane irrisolto. Le teorie e le ipotesi hanno continuato a circolare, ma la verità continua a nascondersi in quell’appartamento di Torino.
 Da quel giorno la vita di Nella e della sua famiglia divenne un calvario.
 La perdita di un figlio stravolge la vita, cambia il punto di vista sulle cose, la gran parte delle quali smettono di avere importanza.
 Il marito diventa un uomo allo sbando, che una mattina d’autunno perde la figlia e vede sconvolta la sua vita tranquilla.
 Pian piano la sofferenza gli scarnifica ogni sentimento. Lo uccide pian piano senza che nessuno in famiglia, ognuno preso dal proprio dolore, se ne accorga.
 Prova per mesi, a rendere quel dolore sopportabile. Ma via via i bocconi faticano a scendergli nella gola, tanto è diventata stretta. Proprio lui che non ha mai bevuto, trova sollievo e consolazione alla sua disperazione nel vino, diventando un ubriacone. Piano piano si divincola dalla vita e un giorno, senza neppure un’apparente causa, lo si ritrova morto nel letto.
 A Nella il medico aveva dato le pillole che dovevano aiutarla a sopportare la sofferenza, a staccare la spina, a dissolvere tutto. Le servivano anche a non odiare oltremodo il marito che alterato dal vino, non pareva soffrire più di tanto per la perdita della figlia. Avrebbe voluto dimenticare, ma questo le appariva una colpa non sostenibile. E allora, chiusa nella sua solitudine, le mura impregnate della presenza assenza della figlia, condannata ad una infinita agonia, aveva cominciato a mangiare senza controllo, diventando obesa, diabetica ed ipertesa. Il grasso come muro tra sé e il mondo, un muro per difendersi da ciò che le era insostenibile e tener lontano la sofferenza.
 Non riusciva a sostenere l’idea della figlia che moriva di violenza e in solitudine. Gli ansiolitici, gli antidepressivi e il cibo tenevano a bada la voragine di delirio e dolore che poteva aprirsi e sopraffarla. Era sempre più convinta che l’assassino della figlia non l’avrebbero mai trovato, perché non lo avevano mai veramente cercato.
 Nella ha continuato ad essere mia paziente per qualche anno. Quando andavo a trovarla la trovavo ogni volta più assente. Sembrava accentuarsi la distanza tra sé e la vita. Faceva fatica a parlare, come se il silenzio e la solitudine dovessero testimoniare quanto fosse stata devastata la sua vita. Anche la sua autonomia scemava, tanto che il figlio era preoccupato a lasciarla sola tutto il giorno. Un giorno aveva deciso di ricoverarla in una RSA fuori Torino perché non aveva altra possibilità di assistenza. Nella, rassegnata a questo destino, non aveva posto resistenza, sentendosi oramai più un peso che una risorsa per i famigliari. L’unica cosa che la addolorava e la tratteneva era la sensazione che allontanarsi dalle mura di casa equivaleva ad abbandonare il ricordo di sua figlia che in quella casa era cresciuta.
 Non so come ha vissuto gli ultimi anni, forse il tempo e le malattie hanno affievolito il carico dei tormenti. Ma neanche la morte le dava la certezza di trovare un rifugio e di ritrovare la figlia; più che morire avrebbe voluto mimetizzarsi, scomparire. Il ricordo della figlia era l’unico ricordo che il tempo aveva fatto più nitido, invece che sbiadirlo.
 
Solo per caso, anni dopo, ho avuto notizie della morte di Nella, avvenuta per complicanze insorte dopo una infezione da Covid.   
(Dalla rivista “Il Gazzettino della Valle del Sagittario” n.3/2024