Corsi e ricorsi storici

DA ESIODO ALLA CAMPAGNOLA E DAGLI OMINIDI AGLI OMUNCOLI

II puntata - Attorno al 219 a.C. Annibale, condottiero cartaginese, aveva invaso la città iberica di Sagunto, che allora ricadeva nel territorio romano, ma i Romani non reagirono con le armi, fidando nella diplomazia (e perdendo tempo), per cui i Cartaginesi avevano occupato la città. Continuando le trattative, nell’anno successivo, dei delegati del senato romano si portarono a Cartagine e Quinto Fabio Massimo così parlò :«Qui noi portiamo guerra e pace, scegliete voi quale delle due volete». Gli fu risposto dagli interlocutori che decidesse lui e lui decise per la guerra. Fabio fu detto “cunctator” (cioè “temporeggiatore”) proprio perché, durante la Seconda Guerra Punica, aveva preferito rimandare l’attacco al nemico durante le battaglie adducendo tanti pretesti per poter meglio studiare la tattica del nemico Annibale. Quando la delegazione romana sondò l’opinione di altre popolazioni spagnole vicine alla città aggredita, un cittadino esclamò: Che sfacciataggine è la vostra, o Romani, chiedere di anteporre la vostra amicizia a quella dei Cartaginesi, quando i Saguntini, a voi alleati, li avete abbandonati in modo tanto più crudele di quanto siano stati portati alla rovina dai Cartaginesi come nemici? Vi consiglio di andare a cercare alleati dove nessuno conosce la strage di Sagunto. Qui in Spagna la distruzione di Sagunto rimarrà ad ammonimento doloroso e solenne affinché nessuno si fidi più della lealtà e dell'alleanza romana. (Tito Livio)
Nel fulgore dell’Impero Romano Ottaviano Augusto aveva imposto la “pax romana”, cioè la pace che faceva comodo a lui sottomettendo tanti territori. Intanto lui rompeva la monotonia delle giornate imperiali seguendo il precetto del “panem et circenses”, mentre Virgilio esaltava lusingandolo cortigianamente con i suoi poemi, fra i quali le “Georgiche” e le “Bucoliche” che sembravano fatte apposta per richiamare ai campi ed agli animali domestici i diseredati; e mentre il nostro Ovidio insidiava le matrone di lui (il poeta sulmonese non era favorito dall’imperatore anche perché il suo stile era anticortigiano): «... ormai, da quando non si vendono più voti, (il popolo) ha perso ogni interesse; un tempo attribuiva tutto lui, poteri, fasci, legioni; adesso lascia fare, spasima solo per due cose: pane e giochi» (Giovenale)
Teniamo presente che Ottaviano pian piano stava cercando di trasformare la res publica in un potere personale e poi, contando sulle sue legioni, configurava lo Stato accentratore. Comunque egli aprì l’orizzonte agreste oltre all’Oltralpe, dalle Colonne d’Ercole (Gibilterra) ai Carpazi passando per l’Africa berbera e toccando l’Asia.
Passarono secoli, il mostriciattolo cresceva e continuò a
sonnecchiare; veramente a quel punto fece un pisolino più lungo del solito, interrotto però dall’eco di qualche scaramuccia combattuta all’arma bianca e con rumore di qualche archibugio. A questo punto vorrei sperare che il mostro entri in coma: ormai sappiamo che lui esca dalla metafora e si riveli come “guerra”.
Purtroppo lo spettro di quella bestia riapparve con in mano un mazzo di carte da poker nella destra e con una scacchiera nella sinistra.
Nel 1807 in una parte del Nuovo Mondo il Congresso statunitense aveva abolito la tratta degli schiavi, ma gli orientamenti fra i politici erano discordi per cui, malgrado la tregua concessa a chi volesse mantenere lo schiavismo, nel 1861 scoppiò una guerra fratricida tra nordisti orientati all’industrializzazione e sudisti votati all’agricoltura (Mississippi, Carolina del Sud, Alabama, Florida). Il conflitto ebbe inizio con l’assalto ad alcuni forti nordisti da parte dei confederati sudisti, i quali mal digerivano le imposizioni e i suggerimenti. Lo scontro fu sanguinoso e durò quattro anni (1861-1865): la produzione del cotone, del riso e del tabacco facevano lievitare l’economia sudista, la quale superava di gran lunga quella industriale dei nordisti, grazie alla fatica dei sudditi schiavizzati. Questo fatto presentava un grosso dilemma: certo l’eliminazione del vantaggio asservito allo schiavismo era senz’altro un ideale nobile, ma l’economia rendeva di meno utilizzando “servi” che abbandonassero il lavoro dei campi. E allora? La lacuna consisteva nel valorizzare adeguatamente il costo della manodopera. Se così fosse stato, cioè se fossero state sovvenzionate adeguatamente la industria e l’agricoltura, oggi non avremmo la bomba atomica e miglior nutrimento alimentare per l’umanità intera.
 Le prime avvisaglie del terrore mondiale si erano affacciate nel 1914, a parte altre vicende come  l’aggressione dei Piemontesi al Borbone di Napoli, a parte le imprese napoleoniche (dal “Sole di Austerlitz” alla sconfitta francese da parte dell’ammiraglio inglese Nelson, ecc.): da allora (1914) i conflitti coinvolsero anche le persone innocenti e segnarono tappe sanguinose con i bombardamenti a tappeto su “città aperte” fino all’attacco a Pearl Harbor ed alla rappresaglia di Hiroshima e Nagasaki.
Ma pare che tutto questo non abbia fatto riflettere, se non a parole (e addirittura con disinteresse), la società umana sulla necessità di non parlare più di conflittualità, di guerre. Sarebbe la trebisonda (1) infernale.
Quando Dante, sceso da poco nel terzo canto dell’Inferno, restò addolorato per  Quivi sospiri, pianti e alti guai / risonavan per l’aere sanza stelle, / perch’io al cominciar ne lagrimai. // Diverse lingue, orribili favelle, / parole di dolore, accenti d’ira, / voci alte e fioche, e suon di man con elle // facevano un tumulto, il qual s’aggira / sempre in quell’aura sanza tempo tinta, / come la rena quanto turbo spira.
Le diverse lingue è chiaro che non sono percepibili da tutti i presenti e ciò aumenta la confusione anche nel senso politico perché la diversità separa e non unisce. È quello che accade oggi e forse è per questo che tutti invocano la pace e nel contempo, se sono benpensanti, sfiorano la guerra. Soprattutto in un pianeta che gira precariamente, mentre riemergono antiche categorie quali l’egocentrismo, l’egoismo, l’ipocrisia, la conflittualità, il sessismo, il matriarcato e il patriarcato a corrente alternata, ecc. ecc., a cui si aggiunge l’aspetto sgradevole di comportamenti ludici, a volte criminali.
 È tarda sera e non credo di sbagliare se mi rifugio nel balcone della casa posta su una collina a novecento metri sul livello del mare. Bei tempi quelli di quando si cantava spensieratamente: O campagnola bella… (testo e musica nel pdf allegato)
 
La notte stellata, che una volta echeggiava di serenate, ora si riempie di guaiti di cagnolini e di lontani latrati, che sembrano evocare troppi bla-bla, blò-blò e gnè-gnè. Rifletto e replico con un reflusso al sapore di un bignè di San Giuseppe.
Ah, quanto era dolce – e tale è ancora per me - la melodia della “campagnola”!
Domani mi sveglierò sognando ad occhi aperti che l’intelligenza artificiale, ancora “in fasce” e quindi bisognevole di moltissimi accorgimenti che potrebbero renderla efficacemente operativa non prima di un paio di secoli magari quando si chiamerà con un altro nome, l’intelligenza artificiale, ripeto, avrà ricollegato quel mostriciattolo al fantasma del pitecantropo.
Ancora, formulo al “chattante” ed ai suoi seguaci di raffinare le loro ricerche affinché il periodo di due secoli si prolunghi fino a spostare il “sono belli” dal “suono della guerra” alla tastiera di uno strumento innocuo.

Note
1 - La città turca di Trebisonda (a sud-est del Mar Nero) aveva un porto importante in cui stazionavano molte navi e molti marinai che aumentavano la confusione: di qui il modo di dire “trebisonda” indica perdere la bussola in mezzo alla tramontana.