Cocullo Cultura
6 Aprile 2025, 11:24
UN LACERTO DI PITTURA
In quattro puntate
Nino Chiocchio
IV puntata - Repetita iuvant; ma le “cose ripetute” non sempre giovano. Io credo di aver fatto un’onesta cronaca sedici anni fa, non so se quella cronaca fu adeguata: la penna mia era biro; d’altronde ritengo che l’abbiano fatta prima di me le autorità locali a quelle competenti. Ora, onde evitare le solite giaculatorie che riguardano la carenza dei soldi per il restauro del dipinto, mi limito a fare uno sfogo nostalgico senza correre il rischio di evocare la solita giaculatoria “non ci sono soldi” (spiccioli, visto che i soldini non esistono più da un pezzo).
Comunque rimando il lettore al “Gazzettino della Valle del Sagittario”, un articolo pubblicato il 28 aprile 2023, se lui volesse sapere come si svolgeva la cerimonia di San Domenico ottanta/ottantacinque anni fa. Forse non doveva essere molto dissimile, salvo qualche purghetta, da quanto riporto qui di seguito: Parlando, fra gli altri giorni sono, con uno che qui passa per assennato, mi disse, che dovendosi fare a Cocullo una certa processione, che ricorre ogni due o tre anni più presto o più tardi, secondo il piacere del Arciprete, ed in essa andando ognuno ben provveduto di Serpi, d’ogni sorta, che depongono poi nella chiesa, senza che offendino alcuno... (Archivio comunale) (1).
Nel 1782 il “Reggimento” adottò una delibera; ne riporto un brano nel quale risulta che un anonimo cocullese (il clero?) espose al re l’opportunità di chiudere l’osteria antichissimamente edificata vicino la piazzetta di S.Domenico... perché in essa si pratticano funzioni scandalose contro il decoro della religione in danno della chiesa di S.Domenico.
Ho scritto anche troppo su San Domenico di Sora, fra lavoretti giovanili ispirati dall’entusiasmo di trattare un argomento importante piuttosto che nei saggi frutto di speculazione e ricerca. Comunque rimando il lettore al mio articolo, pubblicato il 28 aprile 2023 sul “Gazzettino della Valle del Sagittario”, se lui volesse sapere come si svolgeva la cerimonia di San Domenico ottanta/ottantacinque anni fa. Ora intendo soffermarmi su quello che fu il nostro Patrono perché la sua vicenda terrena raccolga i recentissimi lavori intitolati rispettivamente “Il lacerto di pittura nella tradizione serpara” e “Due abati e due papi”.
San Domenico fu un Florense ante litteram. Passò a Cocullo nel 1000, cioè in un’epoca tormentata dalle calamità (peste, terremoti, invasioni barbariche, ecc.), dagli scismi derivanti da una religione ancora non organizzata, da scaramucce e da intrighi politici. E chi più ne ha più ne metta.
L’illustre medioevalista Giorgio Picasso parla di San Domenico abate come di un riformatore; costui poi sarebbe divenuto abate. Egli scrive (2) che attorno al Mille, nell’Italia centrale, ad opera di San Domenico da Foligno (N.d.A- Il Santo nacque nei pressi di Foligno e concluse la vita terrena presso Sora) sorse un movimento monastico. Dunque, se non posso dire che San Domenico fondò un Ordine religioso, ritengo di poter affermare che certamente ebbe degli adepti e forse numerosi seguaci.
Non risulta che San Domenico fosse un teologo; è vero che approfondì la sua preparazione religiosa nell’abbazia di Montecassino, che resse per qualche tempo durante l’assenza del priore Azzo e che fu definito “beato” (“Cronaca del Monastero di Montecassino”- copia anastatica dell’Ed. Ciolfi di Cassino); ma, a parte pochi scritti a lui attribuiti, alternò all’eremo una frenetica attività costruttiva di oratori, chiese e monasteri.
Tuttavia qualunque sia stata la sua dimensione culturale, focalizziamo l'attenzione sulla spiritualità del religioso: io penso che il suo orientamento circa le numerose correnti, ortodosse o scismatiche, la scelta sia caduta sul mondo basiliano. San Basilio era nato nella Cappadocia oltre mezzo millennio prima e come Sant’Antonio abate aveva riassunto il patrimonio dei Padri della Chiesa, i quali vivevano isolati nelle spelonche in mezzo agli animali. Questi furono oggetto da parte del monaco Basilio di una invocazione al Creatore: “O Signore, accresci in noi la fratellanza con i nostri piccoli fratelli; concedi che essi possano vivere non per noi, ma per sé stessi e per Te; facci capire che essi amano, come noi, la dolcezza della vita e ti servono nel loro posto meglio di quanto facciamo noi nel nostro.”
Insomma ho ipotizzato la linea direttrice fra i Padri della Chiesa e il nostro San Domenico (e poi Pietro del Morrone).
All’epoca di San Domenico abate, scrivevo, vigeva la tolleranza religiosa che non discriminava fra religione e tradizione. Perciò il nostro Patrono fu canonizzato regolarmente nel 1104 da papa Pasquale II. Poi vennero i Templari e lo sviluppo sociale: questi furono i presupposti del contrasto fra Celestino V e Bonifacio VIII (sec. XIV). Seguirono molte iniziative dirette ad alcune modifiche (talvolta tentativi di allontanamento) alle radici evangeliche, giacché l’idolatria pagana si era incuneata nella religione del primo Cristianesimo. Purtroppo le scorie idolatriche turberanno non poco molti religiosi più vicini al Secolo che non alla Regola.
“Uomo, non ti vantare di superiorità nei confronti degli animali: essi sono senza peccato, mentre tu, con tutta la tua grandezza, insozzi la terra con la tua comparsa su di essa e lasci la tua orma putrida dietro di te; purtroppo questo è vero per quasi tutti noi. Gli animali hanno propri diritti e dignità come te”. (San Francesco)
“E Dio disse: La terra faccia uscire esseri viventi secondo la loro specie: quadrupedi e rettili e fiere terrestri secondo la loro specie, animali domestici secondo la loro specie.” (Sant’Agostino, richiamando la Bibbia)
“Anche negli animali il corpo è quanto vi sia di più vile e basso, poiché gli animali hanno un'anima, benché essi non posseggano la ragione, che è propria dello spirito” (Sant'Agostino)
Il declino della transizione verso il fondo della disumanità ripudia la tradizione. Tutto era cominciato alcuni decenni fa, quando l’economia, l’ignavia, l’edonismo e lo spreco stravolsero la natura: la prima fonte di alimentazione fu declassata e sottomessa all’industria che da autentica scienza fu svilita quasi a strumento bellico. Le comunità dei piccoli centri saranno costrette a mangiare farina di grilli nelle megalopoli rarefacendo gruppi etnici nei quali erano avviluppate le radici della loro storia e delle loro usanze.
“La memoria è la storia di un popolo, e un popolo senza memoria è un popolo senza identità, destinato a scomparire senza lasciare alcuna traccia di sé” (Primo Levi)
Note
1 - Tutti i brani di documenti qui inseriti erano stati da me riportati in vari lavori.
2 - Dall’eremo al cenobio”, Garzanti-Scheiwiller 1989, pag.34.