Festa a Villalago di San Domenico Abate
Monaco Benedettino, Sacerdote, Eremita, Riformatore, Taumaturgo, Protettore, Patrono

Oggi ricorre a Villalago la festa liturgica  di San Domenico Abate, Patrono del paese. Oltre ai riti religiosi, la festa si arricchisce di una tradizione fissata nel tempo, quale il rito dell’accensione delle “Fanoglie”, cataste di legna a forma di cono, di cui abbiamo scritto negli articoli precedenti.
Oltre a quelle rionali ci sarà all’imbrunire la grande “Fanoglia Cittadina”, innalzata in piazza da un gruppo di volontari. È prevista la partecipazione dell’Amministrazione Comunale e di tutto il popolo. Verrà accesa dopo il bacio in chiesa della reliquia del “Sacro Dente” e dopo la benedizione da parte del parroco, vestito con i paramenti religiosi.
Da qualche anno non c’è più l’usanza di scendere in processione all’eremo del Santo, perché la popolazione è sempre meno e la maggior parte è anziana. Chi può vi scende in forma privata.
San Domenico è il Santo Protettore di Villalago. Nel 1951, in occasione delle celebrazioni del primo Millenario della sua nascita, il Consiglio Comunale lo proclamò il primo e il più illustre dei cittadini di Villalago. Il popolo lo venera in due chiese e lo ricorda con quattro statue, che, secondo l’antica credenza popolare, sono a difesa del paese, per la loro posizione geografica. Nel corso dell’anno lo onora con tre feste: la prima è quella di oggi; la seconda il Lunedì dell’Angelo; la terza il 22 Agosto.

Brevi cenni sulla vita del Santo
San Domenico Abate, monaco benedettino, sacerdote, eremita, riformatore e fondatore di monasteri, nacque a Foligno nel 951.
Morì a Sora il 22 Gennaio 1031. Salì agli onori degli altari il 22 Agosto 1104.
Non visse extra mundum, ma in armonia sia con la Chiesa, sia con la società del suo tempo.
Intorno all’Anno Mille il desiderio di rinnovamento della Chiesa, prospettato dallo stesso popolo, che spesso insorgeva contro i vescovi concubini o simoniaci, comincia a divenire sempre più pressante.
Uomini, senza alcun principio religioso, ricevevano l’investitura di Vescovi-conti da parte dell’Imperatore che con il Privilegium Othonis interferiva anche sull’elezione del Papa: la persona designata non poteva essere eletta senza la sua approvazione.
In tali condizioni si rese necessario un organico piano d’azione, voluto dagli stessi pontefici, per ridare personalità morale e giuridica alla Chiesa, sottraendola all’azione, alle leggi e al tribunale dei laici, nonché di fornire al clero cultura e dignità sacerdotale.
L’opera di moralizzazione venne affidata al movimento monastico con eremiti e cenobiti. L’orientamento fu quello di restaurare la Regola di San Benedetto con la fondazione di monasteri, oratori, cappelle e pieve rurali. Tra il Novecento e il Mille i monasteri sorgono numerosi in ogni parte d’Italia e con il sistema delle filiazioni si espandono anche nelle zone più impervie, dove poi nasceranno villaggi e paesi.
In questo piano riformatore San Domenico fu un protagonista di rilievo nell’Italia Centrale: Abruzzo, Lazio, Molise.
In Abruzzo, nella provincia dell’Aquila, fondò a Villalago il monastero di San Pietro del Lago, che ebbe sotto di sé ben quindici grance; in provincia di Chieti  la badia di Monteplanizio; nel Molise, in provincia di Isernia, il monastero di San Pietro Avellana; nel Lazio i monasteri di San Salvatore a Scandriglia, della SS. Trinità, di San Bartolomeo e di San Nicola di Mira a Trisulti, di Sant’Angelo a Segni, della Madre di Dio a Sora.
San Domenico curò personalmente questi monasteri: fu Abate per molti anni di San Pietro del Lago,  per quindici del Monastero di San Bartolomeo e venti di quello di Sora, non dimenticando le altre fondazioni a cui non mancava mai di far visita.
Com’era costume dei monaci benedettini il Santo si dedicava non solo alla cura delle anime, ma anche a quelle del corpo. In molti monasteri dell’epoca vi erano scuole mediche e i frati erano dotti nell’esercitare la medicina. Le infermerie monastiche erano a servizio di chiunque ne avesse bisogno. A San Domenico ricorrevano infermi con ogni tipologia di malattie delle aree montane e tutti ricevevano la guarigione.
Nella “Vita di San Domenico” di fra’ Giovanni, l’umile fraticello che l’accompagnava, si legge: “E tutti gli abitanti cominciarono a venire a lui per la salvezza dell’anima e a ricevere la salute fisica”.
Nessuno mette in dubbio che operasse miracoli, ma certamente per la vita che conduceva egli doveva conoscere anche “l’arte medica” per curarsi da eventuali febbri e dal morso di serpenti o di altri rettili e animali.
Dopo la sua santificazione il culto verso il Santo, con leggende e riti, si diffuse in tutta l’Italia centro meridionale, soprattutto in quei luoghi dove sono le sue testimonianze terrene: a Foligno dov’è nato; a Sora, dov’è sepolto nell’abbazia da lui edificata e dove nella chiesa di San Silvestro si conserva la sua mitra abbaziale e alcuni frammenti del suo corpo; a Villalago, dove sono l’eremo, i resti del monastero di San Pietro del Lago e dove si conserva la reliquia di uno dei sui denti molari; a Cocullo che custodisce un altro dente molare, il ferro della mula del Santo e dove si svolge il rituale delle serpi; a Pretoro e a Villamagna dove si rappresenta la leggenda del lupo ammansito.
Al Santo vennero progressivamente attribuiti particolari poteri taumaturgici. Oltre al patronato antifebbrile e antiemorragico, la sua protezione si fece sempre più corrispondente alle aspettative di una società agro-pastorale, soggetta al rischio di vedere distrutti i raccolti dalle tempeste e al pericolo dei morsi degli animali rabbiosi e velenosi.