Residenza, domicilio o dimora

Considerazioni ai fini dei benefici fiscali

Nel mio articolo del 18 ottobre scorso, dal titolo “Imu, doppie residenze ed esenzione ai coniugi - Le condizioni per ottenere l’agevolazione, anche con effetto retroattivo”, non ho indicato, per ragioni di spazio, le differenze concettuali dei luoghi ove le persone si trovano e dove devono poter essere rintracciate, per i più disparati motivi.
Nella “Lettera al direttore”, Antonio Genovese da Castrovalva, in poche righe, ha enunciato compiutamente le tre situazioni giuridiche che la stessa Corte costituzionale ha analizzato nella sentenza n. 209 del 13 ottobre 2022, definendo il concetto di “abitazione principale” nel caso in cui due coniugi chiedano l’esenzione dall’IMU, avendo stabilito la loro residenza in abitazioni diverse, in cui si verifichi effettivamente, per ciascuno dei due immobili, la condizione della residenza e dimora abituale di uno dei due coniugi.
Le differenze tra le tre situazioni giuridiche
L’art. 43 del Codice Civile definisce “il domicilio di una persona” come il “luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”.
Trattandosi di concetti diversi ai fini della reperibilità di ogni singolo individuo nel territorio italiano per tutti i rapporti giuridici che lo interessano, il concetto di dimora, cui si ricollegano gli effetti più importanti, è quello di “dimora abituale”, riferito al luogo in cui il soggetto abita in forma continuativa (quindi né sporadicamente, né in maniera occasionale) per lo svolgimento della propria vita quotidiana, dovendo coincidere con il luogo di residenza.
Dunque, il domicilio e la residenza sono situazioni ben riconoscibili nella loro diversità, mentre la dimora, quando è abituale e non temporanea, costituisce il presupposto di un’effettiva residenza.
La scelta del domicilio, che riguarda la sfera economico – sociale del soggetto, non segue alcuna formalità, ossia non richiede alcuna registrazione presso l'Ufficio Anagrafe di un Comune. Di conseguenza il domicilio, a differenza della residenza, non è certificabile.
Come inizialmente accennato, il domicilio è la sede principale in cui il soggetto svolge i suoi affari e interessi, presso il quale lavora, qualificandosi così quel luogo come “domicilio professionale”. La residenza, invece, riguarda la vita personale dell’individuo e deve essere fissata nel luogo in cui lo stesso ha la sua dimora abituale, ossia presso l’immobile in cui vive in maniera stabile e continuativa, da solo o con la sua famiglia, coincidente di norma con l’abitazione principale.
Un soggetto è libero di eleggere il proprio domicilio in una città e lasciare la propria residenza anagrafica in un’altra. Mentre la variazione del domicilio deve essere comunicata solo ai soggetti, cui la persona fa riferimento per svolgere la propria attività (ad esempio un avvocato che si è trasferito presso un altro studio dovrà comunicare ai sensi della Legge n. 247/2012 la variazione del domicilio professionale al Consiglio dell’Ordine di appartenenza territoriale), colui che si trasferisce da un Comune ad altro o chi, pur nell’ambito dello stesso territorio comunale, cambia casa, deve chiedere il cambio di residenza anagrafica o la semplice variazione d’indirizzo nell’ambito dello stesso Comune.
Alla nozione di domicilio, come, enunciata, si aggiunge anche quella del cd. domicilio fiscale, riferito all’attività di accertamento delle imposte, dove le persone fisiche sono domiciliate fiscalmente nel Comune di residenza anagrafica.
Residenza e dimora abituale per l’esenzione IMU
Differenze concettuali a parte, nella considerazione che il concetto di “dimora abituale” è funzionale alla fissazione della residenza di un cittadino, - ossia del luogo in cui abitualmente svolge la propria vita mediante l’esercizio dei diritti e l’esecuzione degli obblighi che la legge gli attribuisce, - la relativa certificazione rilasciata dall’anagrafe del Comune di residenza non sempre è sufficiente a dimostrare la “dimora abituale”, quando il cittadino in realtà vive stabilmente altrove e ha dichiarato in quel Comune una “residenza fittizia”.
Basti pensare, ad esempio, ai casi in cui, per godere di benefici fiscali, si fissa la propria residenza in altra casa di proprietà, acquistata per trascorrere i periodi di ferie o vacanze, non identificabile, quindi, come la propria dimora abituale.
Rimanendo in ambito fiscale e quando anche lo strumento dell’autocertificazione si dimostra insufficiente, perché l’amministrazione comunale revoca al contribuente l’esenzione dal pagamento dell’IMU per un immobile non considerato come dimora abituale dello stesso, è possibile dimostrare in sede di autotutela o in giudizio di essere in possesso delle condizioni per usufruire dei benefici fiscali, con qualsiasi mezzo comprovante lo svolgimento stabile e continuativo della vita quotidiana presso quell’immobile.
Come ha anche sentenziato la Corte Costituzionale, la prova della “dimora abituale” può essere riconosciuta con la produzione dei documenti sui consumi registrati dalle varie utenze domestiche di luce, acqua e gas, perché, riferite ad una complessiva gestione domestica, possono fornire un quadro esauriente della presenza continuativa e stabile del soggetto nell’immobile indicato come propria “dimora abituale”, soprattutto se i consumi registrati sono di una certa entità, compatibile con una presenza non sporadica limitata ai periodi delle ferie.
Sempre in tema di dimostrazione della “dimora abituale” a fini fiscali risulta esauriente la citazione di una recente sentenza della Corte di Giustizia Tributaria dell’Aquila, Sezione seconda, n. 366 del 22 novembre 2023, secondo la quale per fruire dell'esenzione IMU sull'immobile adibito ad abitazione principale non basta da sola la residenza anagrafica, ma occorre provare l'utilizzo dell'immobile come dimora abituale da parte della contribuente che non ha dimostrato con adeguata forza probatoria, di aver adibito l’immobile a propria abitazione principale, attesa “la ristrettezza temporale delle bollette fornite dalla ricorrente, l’esiguità dei consumi di luce e gas con riferimento a quelli medi annui di una famiglia, nonché la concentrazione dell’uso di tali energie nel solo periodo ferragostano”. La Corte ha evidenziato, inoltre, “il mancato radicamento della stessa presso il territorio del comune di Scanno, ovvero la mancata documentazione da parte della ricorrente della scelta del medico di famiglia nel luogo in cui è ubicato l’immobile”.
Sono del tutto irrilevanti, invece, per dimostrare la “dimora abituale”, il pagamento della Tari, l’allaccio al sistema fognario, la domanda di condono, la presenza di un'utenza telefonica fissa, in quanto elementi del tutto compatibili con la titolarità di un immobile non destinato a “dimora abituale”. Così anche eventuali altri documenti prodotti dal contribuente, tendenti a dimostrare la partecipazione alla vita sociale e culturale del comune, ad esempio, derivante dall’esercizio del voto nelle varie consultazioni elettorali, dal riconoscimento di premi o cittadinanza onoraria sono irrilevanti, così come i consumi minimi o modesti di energia elettrica e acqua accertati dall'amministrazione comunale sono “incompatibili con una presenza costante nel corso dell'anno”.