Cocullo Elzeviri
31 Agosto 2025
UNO SPACCATO DI STORIA PATRIA IN UNA BIBLIOTECA DI SETTE LIBRI-CIMELI
Nino Chiocchio
Leonardo (nato attorno al 1705) di mestiere faceva il falegname; aveva sposato Angela Nonni e con la famiglia – la moglie e sette figli – abitava a Cocullo in quella che oggi è via Roma n. 3 e che nel catasto onciario del 1746, ai fogli 157/154, risulta abitare “nel colle pi’ la torre”, casa di “membri sei, inclusavi la cantina”, e possedeva “altra casa sempre sita nel collepilatorre di membri tre con la cantina”. In un paese di montagna vocato all’agricoltura e alla pastorizia, in una economia chiusa, basata sui prodotti della terra, Leonardo conduceva una vita appena agiata, essendo piccolo proprietario edilizio e terriero, come già accennato nel catasto onciario.
Un figlio di Lonardo (sic!), Patrizio, nato nel 1733, aveva sposato Santa Cerri (?).
Tra i figli di quest’ultimo figura Giandomenico, nato nel 1761 e morto nel 1837, come risulta dagli Stati delle Anime del 1700. Suo fratello Giampasquale, nato nel 1772 e morto nel 1817, era sacerdote e viveva nello stesso nucleo famigliare.
Il “Dottor Fisico” Francesco, nato nel 1788, è figlio di Giandomenico.
Intravedo l’alternanza in questa generazione di artigiani (in particolare calzolai), contadini, “letterati”, cerusici (il “Dottor Fisico” Francesco), sacerdoti (appunto don Giampasquale), falegnami, pastori…
Abbiamo cominciato da Leonardo perché di lui abbiamo attinto notizie relativamente precise, ma ora per le indicazioni che ci può dare la bibliotechina, saltando il figlio Patrizio e il nipote Giandomenico, chiamiamo in causa il fratello di Giandomenico Giampasquale e il figlio di Giandomenico il “Dottor Fisico” Francesco in quanto ha incuriosito la pubblicazione delle poesie di Aurelio de Giorgi Bertòla, poesie pubblicate a Pisa nel 1798 dalla Nuova Tipografia. Il Bertola fu scrittore e poeta riminese che abbracciò la religione olivetana, ma poi finì abate e lettore nell’Università dell‘Accademia navale di Napoli. Ciò che interessa è che il monaco olivetano Bertola (1) cita la principessa della Roccella in due necrologi poetici in memoria della stessa principessa Donna Livia Doria Carafa, raccolta di sonetti commissionati ai poeti più noti della fine del ‘700 dal marito Vincenzo Maria Carafa Cantelmo Stuart principe di Roccella, commosso e addolorato per la scomparsa della moglie.
Nel 1476 era nato da Vittoria Camponesch (2) moglie del conte di Montorio (oggi la località comprende una vasta zona del Teramano), Pierluigi Carafa, già vescovo di Chieti e futuro pontefice Paolo IV, co-fondatore dell’Ordine dei Chierici Teatini a cui l’ultima contessa di Celano della linea di Antonio Piccolomini Todeschini donerà il palazzo romano (poi chiesa di S. Andrea della Valle) di Pio II Piccolomini.
Per non stizzire i signori a cui non interessano i riferimenti storici si cercherà di intrepretare, ove possibile, l’epigrafe (vedi foto) scolpita sul vecchio portale di casa Lisciotti, in via Roma 3, e risalente al 1797. Detta epigrafe è malridotta e in parte illeggibile a causa di simboli litoidei sovrapposti su alcuni righi e perciò l’interpretazione è molto approssimativa e relativamente poco attendibile, specie nella prima parte: Trascrizione possibile: IHS (trigramma ecclesiastico: “Jesus)/ 1797/ AL REV.MO?…/ …VOR DI?/ GIES? E [MI] NASCO/ NDO [NELLA?] STANZA/ SICURA PER CHI LASCIA/ IL MONDO (3) FERITO DI GIESU FU IL/ CUOR DA DARDI./ CRUDEL SEI TU/ CHE PASSI E NON LO/ GUARDI./ chi SERVE I DIO/ CO PURITA DI CUO/ RE VIVE CONTENTO,/ E POI FELICE MUORE”.
Malgrado tutto, don Giampasquale dimostra di possedere una dose discreta di buonsenso e di aver raggiunto un certo livello culturale (4)Allora era in pieno sviluppo il secolare contrasto tra la fazione capeggiata dai componenti della Confraternita di Sant’Egidio-San Domenico e quelle capeggiate dai componenti delle altre Confraternite. Forse il monito satireggiante fu suggerito a Giampasquale dall’ardore dei venti-venticinque anni; probabilmente stava per raggiungere il sacerdozio e faceva tirocinio nella vicina chiesa di San Nicola, ubicata nei pressi della sua casa e già cappella gentilizia e poi chiesa parrocchiale fino al terremoto del 1915.
Ancora indietro. Nel 1607 il Superiore dei Domenicani aveva delegato al suo Vicario la facoltà di riconoscere e istituire la Confraternita cocullese del SS.mo Nome di Dio …OMISSIS. “IHS-NOIFLUDOVICO YSTELLA
… con l’Autorità a noi concessa dai Sommi Pontefici, Istituiamo con il presente nostro decreto la Confraternita del SS.mo Nome di Dio nella Chiesa di S.Nicola del paese di Cocullo (della Diocesi di Valva e Sulmona), col consenso dell’Ordinario del luogo,…”
Il parroco di San Domenico era stato precedentemente Don Crescenzo Arcieri e quindi non era lui il destinatario della satira perché era già morto. Egli aveva abitato presso la chiesa di Sant’Egidio, nel centro storico di un paese, centro che era il rione più popoloso e propulsore della economia agricolo-pastorale e lui fu il primo sacerdote a divulgare il culto del dente di San Domenico, rinvenuto su un altare, nei paesi limitrofi e sui tratturi, arricchendo la chiesa di quadri di valore e suppellettili varie, senza peraltro rimetterci del suo. Ma il suo progetto fu poi danneggiato dal nipote arciprete Giovanni Arcieri, il quale in combutta con il fratello Serafino, giudice, riuscì, contro il parere dei Cocullesi, a farsi nominare arciprete parroco di San Domenico dal conte di Celano. Infatti Don Giovanni si era candidato alla successione dello zio nell’Arcipretura, al pari di Don Giustino Gentile di famiglia influente. Dopo la morte di Don Crescenzo aspirarono quindi a succedergli nella Parrocchia di San Domenico (ormai chiesa madre) il nipote Don Giovanni Arcieri (candidato perché …faceva parte del clan Arcieri) e Don Giustino Gentile…. A Cocullo l’8 marzo 1792 si era cantata una “messa parata” (solenne) in occasione della ricorrenza della concessione del Regio Assenso alla Confraternita di San Domenico (ottenuto un mese prima), a cui seguì una festa grande con spari e tamburo e processione: aveva celebrato Don Giustino Gentile con l’assistenza di Don Pietro di Carlo e di Don Giandomenico Mascioli. La trascrizione della delibera sull’evento nel “Libro dei massari” porta la data dell’8 aprile 1792 e l’estensore, riferendosi al celebrante Don Giustino, usò il termine “quondam” (il “fu”). Per cui possiamo rilevare che, vista l’assenza dalla funzione di Don Giovanni Arcieri, costui in quel tempo stava brigando con il fratello, per ottenere la nomina ad Arciprete dal conte di Celano. Perciò possiamo argomentare che Don Giovanni ebbe il sopravvento fra il 15 marzo 1792 e l’8 aprile dello stesso anno, e non tardò a rivelare ai Cocullesi il suo carattere indocile:
…li poveri confratelli della Venerabile Cappella del nostro S.Domenico colle lagrime agli occhi, ci han fatto sapere che Don Giovanni Arcieri li sia stato involato l’insigne Reliquia di S.Domenico e tolta eziandio la chiave dell’armadio con il pretesto che il religioso era stato creato Rettore da alcuni cittadini (in realtà Don Giovanni si era fatto nominare arciprete dal conte di Celano) … Il male però più pernicioso si è che vuol farsi Padrone assoluto di detta Reliquia, e del obligazioni, e quando porta di lugro (Archivio com.le). Le autorità cocullesi (che solitamente segnalavano i papabili al vescovo) negarono che Don Giovanni fosse stato creato Rettore e suggerirono di ricorrere alla “giustitia” (delibera 23 settembre 1792).
Don Giovanni non aveva l’acume e la lungimiranza dello zio Don Crescenzo, il quale bene o male aveva saputo anticipare l’essenza della delibera datata 19 febbraio 1606. Il malumore scoppiò e il 25 novembre del 1792 i Massari decisero di far tacere i mormorii facendo mettere d’accordo l‘autorità religiosa con quella civile e con le Confraternite.
“Nel giorno 23 del mese di marzo 1792./ In sede giurisdizionale, nella Regia Doganella, sulla richiesta presentata dal comparente. In fede, per il procuratore (fiscale) De Spinosa
Sulla petizione nella Regia Doganella sita in Sulmona/ il comparente Donato Gentile di Cocullo dice che gli è/ stata notificata una petizione dei “Magnifici” eletti a contestare della/ venerabile Cappella del Purgatorio dello stesso paese Ve-/ nanzio Panecaldo e il “magnifico” Marco Gentile, con la quale i detti hanno/ chiesto (a) detto comparente una deposizione giurata se nel tempo/ dell’amministrazione da lui unitamente con il fu San-/ te Risio, trinetar1 (5) della venerabile chiesa di S. Domeni/ co di detto paese, ricevesse in tal qualità dalla venera-/ bile cappella del Purgatorio per mezzo dei di lei am-/ ministratori del tempo, il fu Pietro Mascioli e / Paolo di Carlo, ducati trecentoventotto trentatré grana e dieci cavalli nonché a specificare l’uso di tale/ somma fatto a favore di esso Luogo Pio nell’anno 1772.
/ Il comparente, dichiaratosi pronto a seguire gli ordinamenti di/ questo Regio Ufficio, passa all’esame del medesimo/ rispettabilissimo [il fatto] che nel detto tempo la venerabile Cap-/ pella del Purgatorio per mezzo dei nominati (strappo)/ desse in grazioso mutuo alla venerabile Chiesa di S./ Domenico detta somma di ducati trecentoventotto/ trentatré grana e dieci cavalli nel tempo che fu/ amministrata tanto dal comparente quanto dal fu [San]-/ te Risio, e tale somma si ricevette da essa venera[bile]
-Chiesa di S. Domenico per il motivo che (non avendo), non essendoci denari alla/ bisogna (in pronto), aveva al contrario urgente bisogno di vari mobili/ ed accomodi interni. Di fatti di ducati 328:33.10 da loro/ si passarono in mano del fu Arciprete D. Crescenzo/ Arcieri e per mezzo di costui, con il medesimo denaro, tra le / altre cose, secondo egli benissimo si ricorda fu formato/ dal Pittore D. Francesco Palomba (6) di Napoli il quadro del-/ l’altare maggiore di S.Domenico, di più dai Maestri/ falegnami Berardino e Nicola, padre e figlio di Pesco/ Costanzo; si formò uno Stipone di noce grande per/ uso di conservare argenti dello stesso Luogo Pio, come/ anche la cornice di detto quadro, tutta in intaglio con/ varij rifinimenti. anche di legno nello stesso altare/ non che un reliquiario: finalmente fece per mezzo/ dell’indoratore Giovanni Sempiante di Pentima indo-/ rare buona porzione di essi intagli, ed altare nelle/ colonne ed altri finimenti, che l’adornano./ Ricorrendo pertanto in questo Regio Ufficio, fa istanza/ stendersi e riceversi la sua deposizione uniforme al/ tenore della presente sua domanda giudiziaria di questo dì.
Io Donato Gentile fo istanza come sopra”
=Da tempo un attrito di carattere religioso divideva i Cocullesi.
“Dal Liber Obligationum”, nell’Archivio del Comune di Cocullo, riporto le seguenti delibere: 19 febbraio 1606, 6 febbraio 1607, le quali rispettivamente recitano:
-delibera 19 febbraio 1606:…li fu ragionato che si desiderava ingrandire lecclesia di santo Eggidi0 (6)et ancora se si voleva dare Memoriale a Monsignor signor Reverendissimo che le altre ecclesie havessero da mettere le robbe che si trovano a detta fabbrica…;
-delibera 6 febbraio 1607 “…che li frati dello ordine di santo Domenico fossero venuti per fare Ecclesia, o cappella quelle, intante dicono che sondo le loco da Tutti fu ordinato che sene pigliasse parere al dottore Colucci [più di un “azzeccagarbugli”] et che si fosse andato da Monsignore se sipotevano a Tribuire le teche (8) alla fabbrica di santo eggidio, o meno alla compagnia del SS.mo sacramenti si facessero altrimento che si facciano…”
Dunque siamo certi che il destinatario della satira scolpita sul portale di Casa Lisciotti non era Don Crescenzo sibbene il nipote Arciprete Don Giovanni Arcieri.
Siamo grati alla compianta Tecla Mascioli per il dono dei libri e potremmo dire che a questo punto ci possiamo fermare con Don Giampasquale, il quale ci ha permesso di sfiorare alcuni argomenti su avvenimenti che in qualche modo hanno toccato anche la storia patria cocullese e ci ha fornito alcuni importanti dettagli utili a collegare i tumulti religiosi che agitarono per secoli questa popolazione. Inoltre teniamo presente, e ripetiamolo, che in un paese di un paio di migliaio di abitanti (allora la diaspora dell’emigrazione non si era accentuata), arrampicato sulle montagne, dove risiedevano una decina di sacerdoti, in un paese di contadini e di pastori, era accesa una vivida fiammella di cultura ove si pensi che esistevano biblioteche oltretutto disperse dalle varie eredità: per la cronaca, cinquant’anni fa in una stanza vicinissima a casa Lisciotti (oggi via Roma) in un mobile-armadio era stipata una moltitudine di libri di vario genere, tutti stampati nei secoli scorsi.
Note
1 - “mondo”: mormorii della gente. (N.d.A.)
2 - A quel tempo il linguaggio era molto franco al punto di sfiorare la crudezza.
3 - Gli Olivetani fiorentini avviarono per opera di tre cavalieri senesi, fra i quali un Piccolomini, l’Ordine degli Olivetani, che fu molto vicino ai Chierici Teatini, Ordine fondato da papa Carafa e da don Gaspare da Thiene.
4 - Camponeschi nel 1300, di tradizione angioina, furono tra i più distinti nobili de L’Aquila.
5 - La parola, poco leggibile per la grafia confusa e per le numerose macchie sparse un po’ dovunque, richiama alla memoria i Trinitari, che qui potevano ben essere rappresentati dalla loro componente laica (Confraternite, magari appaiate a quelle aventi altri titoli) considerato che a Cocullo si organizzavano (e si organizzano, anche se oggi lo spopolamento li ha resi più rari e meno numerosi) pellegrinaggi al Santuario della SS.ma Trinità di Vallepietra, dove il nostro Patrono avrebbe fondato una chiesa in cui è raffigurato. Peraltro nella chiesa cocullese di costui (ristrutturata, però, ed ampliata alla fine dell’Ottocento) a me non risulta che esistano tracce di una cappella dedicata alla Trinità, al contrario di quella della Madonna delle Grazie. Il contrasto che appare emergere nella pergamena potrebbe dimostrare un livore fra le due Confraternite derivante dal fatto per cui quella di San Domenico la stava spuntando dopo la sottrazione di materiale (una delibera che ho letto all’Archivio del Comune sul “Libro de Conseglio” parla genericamente di “pietre”, ma io non escludo che quelle pietre e magari altro “materiale” potessero essere tracce del culto alla Trinità) alla chiesa della Madonna delle Grazie per essere spostato a quella di San Domenico, il quale intanto pure si era appropriato addirittura della ricorrenza del maggior giorno festivo già dedicato alla Madonna…
6 - E’ sicuro Donato abbia ricordato bene il nome di battesimo del pittore, considerato che la tela è attribuita ad Onofrio?
7 - Poi chiesa di S. Egidio e S. Domenico, infine solo chiesa di S. Domenico.
8 - “della compagnia del nome di dio” (ex chiesa di S. Nicola).