Quel tragico 27 Agosto del 1943 a Sulmona

Il 27 agosto del 1943, gli angloamericani scatenarono un massiccio bombardamento sulla zona della stazione ferroviaria della cittadina abruzzese. Morirono 150 persone, centinaia i i feriti. Per la storia di Sulmona e dei suoi abitanti il 27 agosto 1943 rappresenta una delle pagine più tragiche. 
Con l’attacco sferrato il 27 agosto 1943, gli angloamericani miravano a tagliare i rifornimenti alle truppe tedesche, a indebolire le forze dell’Asse, a ostacolarne la ritirata e a favorire l’avanzata alleata verso Nord. Il bombardamento fu violento: costò la vita a circa 150 civili in transito alla stazione e nelle zone adiacenti. Per l’attacco aereo sullo scalo ferroviario, vennero impiegate sessantanove “fortezze volanti americane”, i B17, e settanta Liberator.
Quel giorno gli aerei scaricarono su Sulmona 153 tonnellate di bombe da 500 libbre ciascuna e altre 51 tonnellate sullo stabilimento di Pratola Peligna.
Gli aerei tornarono a bombardare nuovamente Sulmona il 19 gennaio 1944, il 3 febbraio1944, il 4 e il 30 maggio1944, quando a essere presa di mira fu piazza Garibaldi. I nuovi attacchi causarono la morte di altre 176 persone. La città fu liberata solo il 13 giugno 1944, grazie alle azioni congiunte dei partigiani della Brigata Maiella e degli alleati.
Stamani alle ore 10,30 per onorare la memoria di quanti persero la vita in quel drammatico evento, la Diocesi di Sulmona-Valva, in collaborazione con le Istituzioni cittadine, commemorerà questo evento con una Santa Messa in suffragio delle vittime, prima della deposizione della corona d'alloro. La celebrazione eucaristica, presieduta da S.E. Mons. Michele Fusco, si terrà nella Chiesa della Madonna Pellegrina, di fronte alla stazione,"Sacrario per le vittime di guerra"
Riportiamo il racconto che ne ne fece la poetessa e scrittrice Raffaella Del Greco di Anversa degli Abruzzi, allora diciassettenne nelle pagine della nostra rivista il “Gazzettino della Valle del Sagittario”, numero 3 del 1995.

Era il periodo delle vacanze estive e non c'era alcuna necessità di andare a Sulmona, ma io avevo un grande desiderio di recarmi al vescovado, dove la sorella dell'allora vescovo Mons. Luciano Marcante curava una fornitissima biblioteca.
Ero un'assidua frequentatrice, perché a casa non avevo libri da leggere all'infuori di quelli scolastici. Quel giorno volevo riconsegnare quello letto e prenderne un altro. La signorina Maria me ne dette due. Ricordo che uno era intitolato: "La signora Miniver". 
Trovandosi il Vescovado all'entrata di Sulmona, non mi recai al centro della città e tornai subito alla stazione a riprendere i l treno per tornare ad Anversa.
Era l'ora più calda della giornata e in quella sala d'aspetto si soffocava. Cercavo di riempire l'attesa, scorrendo qua e là le pagine, ora di uno, ora dell'altro libro. Due bambini si rincorrevano, schiamazzando tra i pacchi e le valigie posate alla rinfusa sul pavimento. Alcuni uomini, le teste ciondoloni, sonnecchiavano; tre o quattro donne parlavano sottovoce tra loro e ridevano. 
Incuriosita, ogni tanto allungavo l'orecchio, cercando di afferrare qualche parola dai loro discorsi. Pensai: - Saranno dello stesso paese - Intorno a noi il solito movimento di tutte le stazioni con il sibilo della locomotiva, le voci dei ferrovieri indaffarati ad agganciare i vagoni, il suono della campanella cheannunciava l'arrivo di un altro treno, i l rumore degli scambi dei binari. 
Era u n momento tranquillo di una tranquilla giornata. Improvvisamente il suono della sirena d'allarme lacerò l'aria. Ci guardammo terrorizzati ed increduli. Un'incursione aerea? Era l a prima volta che ci capitava di trovarci in una situazione pericolosa. Fino a quel momento la guerra ci era sembrata lontana. 
Ripensai al bombardamento di Roma di appena un mese prima (19 Luglio), che aveva colpito lo scalo ferroviario di San Lorenzo, radendo al suolo un intero quartiere e provocando 1400 morti. 
Capii che anche questa volta l'obiettivo sarebbe stata la stazione che, tra viaggiatori in arrivo e in partenza, e personale delle Ferrovie dello Stato, era affollata.
Il panico si impadronì di tutti. Ci fu un correre affannato, all'inizio senza una meta, poi voci maschili gridarono: Al sottopassaggio! 
Come un'incontenibile marea ci riversammo sulle scale del sottopassaggio, a tratti spingendoci, a tratti aggrappandoci l'uno all'altro. Mi sembrò di entrare in un tunnel senza uscita e mi fermai indecisa, osservando la gente che, indecisa quanto me, scendeva e saliva come impazzita. 
D'istinto risalii all'aperto, fendendo la calca, e mi trovai sul piazzale antistante alla stazione, dove altra gente correva avanti e indietro, come formiche alle quali hanno distrutto il nido.
Altre voci gridarono: Ripariamoci al boschetto. Il sottopassaggio è una trappola! Ci dirigemmo verso il boschetto (un pioppeto di proprietà del marchese Achille Mazara), a cui si accedeva,se la memoria non mi tradisce, da un ponticello sovrastante il fiume Gizio.
Il rombo dei bombardieri che si avvicinavano sempre più mi mise le ali ai piedi. Arrivata al boschetto, mi nascosi sotto un folto cespuglio, come un animale braccato dai cani, serrando forte gli occhi, come se, così facendo, avessi potuto allontanare il pericolo incombente. 
Vicino a me i due bambini della sala d'aspetto piangevano aggrappati alla madre. Cercai di rassicurarli: Stemme a pazzià a nascunnarèlle. Mi morì la parola in gola, perché in quel momento si scatenò l'inferno.
Scoppi di bombe si susseguivano senza sosta. Improvvisamente, vicino ed intorno a noi cominciarono a schizzare sassi, rami, terra. Era un bombardamento a tappeto, un potente fuoco d'artificio.
Centinaia di grossi bombardieri angloamericano oscurarono il cielo e centinaia di bombe furono lanciate su persone indifese dilaniandole e smembrandole.
Quanto tempo durò? Un attimo e un secolo ... Finalmente l'incursione ebbe termine e, al rumore degli aerei che si allontanavano, subentrò un innaturale silenzio, subito rotto da singhiozzi, grida, gemiti, richiami. Mi ritrovai sola con la bocca piena di terra e i vestiti strappati. Ero coperta di graffi, ma sanae salva.
Faticosamente sbucai carponi dal groviglio di rami e cominciai a gridare anch'io, inorridita, perché, nel faticoso tentativo di uscire, mi ero aggrappata alla gamba di un uomo, ma me la trovai in braccio: era stata staccata di netto: un troncone sporco di terra e di sangue. Più in là vidi un cappello nero da uomo. Il terreno sembrava fiorito di grossi papaveri; i pioppi abbattuti e divelti dalle bombe, mostravano il bianco dei tronchi arrossato dal sangue e pesavano su corpi straziati e urlanti.Tanti altri corpi restavano immobili per sempre. Quante vittime di una guerra che nessuno aveva capito, né voluta!
Come tanti spettri, noi fortunati sopravvissuti a quella pioggia di morte, ci trascinammo fuori dal boschetto e la desolazione apparve ai nostri occhi; quello che una volta era stato il bel piazzale della stazione, ci apparve disseminato di corpi senza vita. Lo scalo ferroviario di Sulmona era scomparso in un nùgolo di fumo e di polvere, ma io non m i fermai a guardare. Cominciai a correre, a correre. Volevo tornare a casa. Pensavo ai miei, che certamente erano in ansia.
Ad un certo punto mi accorsi che avevo preso la strada per Pratola Peligna (nella parte opposta). Tornai indietro ansante e mi incamminai verso il mattatoio. Incontrai gente che veniva da Sulmona a piedi, in bicicletta, con ogni mezzo alla ricerca del congiunto, dell'amico; a portare soccorso. Gridavano, chiamavano a gran voce i nomi cari. Io continuavo a correre, attraversando campi e viottoli sterrati. Giunsi alla stazione di Bugnara. Da qui costeggiai i binari della ferrovia e passai sotto i l ponte del Sagittario per riprendere la strada statale. Un po' correvo, un po' camminavo zoppicando. Mi facevano tanto male i piedi e mi accorsi di avere un solo sandalo, l'altro piede nudo sanguinava. Non avevo più, né i libri, né la borsetta. Ma ero salva. Me lo ripetei per tutta la strada come un ritornello, salendo e scendendo da quell'unico sandalo: - So-no sal-va... so-no sal-va.
In seguito seppi che il sottopassaggio era stato completamente distrutto e che decine e decine di persone vi avevano trovato una morte orrenda. Anche nel boschetto c'era stato un notevole sacrificio
di vite umane. Spesso mi sono chiesta che fine avessero fatto i due bambini: tanto piccoli e già un’esperienza così tragica. Se erano usciti vivi da quell'inferno, se lo sarebbero ricordato per tutta la vita.
Lacera, sporca, piangente, finalmente arrivai a casa. Non avevo parole per raccontare ai miei l'orrore che avevamo vissuto e che, ancora oggi, quando vi torno con la memoria, mi fa dolére il cuore.
Gli abitanti del mio paese (Anversa), avevano assistito al bombardamento dal cancello della famiglia Ricciardi, che si apre sulla vallata di Sulmona e spazia fino alla Maiella.
Qualche tempo dopo, sul treno per L'Aquila, conobbi una signorina "controllore", che aveva un solo braccio; al posto dell'altro aveva una protesi. Parlando del più e del meno mi raccontò che in quel giorno d'inferno si trovava alla stazione di Sulmona, nel sottopassaggio.
- Mi sono salvata, ma ecco come sono ridotta - mi disse. Riconosciuta invalida per causa della guerra aveva avuto il posto nelle FF.SS.
Anch'io ero scampata alla morte per miracolo e, pur pensando a quei poveri corpi, che mi erano stati vicini nel boschetto e che erano rimasti uccisi, ero contenta di essere viva e ne ringraziavo Dio.
Non sapevo ancora che giorni più terribili ed angosciosi mi aspettavano, giorni che avrebbero per sempre segnata la mia vita e che avrebbero fatto passare in second'ordine, nel mio ricordo, quella giornata di fuoco e di sangue.
Ci furono ancora molte altre incursioni, che arrecarono distruzione e morte nella città di Sulmona, ma la guerra per me ebbe fine i l 22 dicembre 1943, giorno in cui mio padre venne fucilato dai Tedeschi.