La domenica letteraria

STORIE DI VITA RIVISITATE E RACCONTATE DA UN MEDICO DI FAMIGLIA   

(.. quando il medico diventa la medicina, la terapia, ma egli stesso riceve cure, stimoli ed insegnamenti dai suoi pazienti)

Ora è possibile ripensare e riflettere sulle storie di vita di molti miei pazienti. Ora che non sono più ostaggio del tempo e delle incombenze quotidiane del medico, ora che sono libero dalle ossessioni del periodo Covid e dalla pletora di pazienti sempre più numerosi, esigenti e fedeli, posso dedicarmi a loro in maniera differente. Nel farlo, comprendo il privilegio di essere stato un medico di famiglia. Non a molti è dato di interagire con le persone, di entrare nelle loro vite e di accompagnarne il destino, di poter conoscere il carattere e la personalità, il sentire interiore di ognuno. Prestando attenzione alle modalità degli altri puoi conoscerne le diversità e le somiglianze e portare a galla tutto ciò che li accomuna come esseri umani, e, questa è la magia, quanto accomuna te a loro: la paura, l’ansia, le tristezze, il senso di sollievo, la speranza, la solitudine, la sofferenza, la paura della morte, il dolore fisico e psichico, ma anche la rabbia, l’invidia, l'l’isolamento, il rancore, la gratitudine. 
Ci sono state persone che mi hanno consultato solo per un sintomo fisico avendo come unico desiderio quello di esserne liberati. Il sintomo è spesso l’unico evento drammatico di cui il paziente ha percezione nella sua esperienza. 
Ci sono state persone con gravi malattie con cui ho condiviso e accompagnato il cammino dalla diagnosi all’esito.
Ce ne sono state altre, la maggior parte, che soffrendo in senso generale si sono rivolti a me perché nel medico riponevano la speranza di essere aiutati, traducendo inconsciamente il proprio mal di vivere nel linguaggio che il medico dovrebbe comprendere, quello dei disturbi fisici. In questo caso trovare un legame tra i sintomi e la sofferenza nella vita del paziente ed essere di aiuto, è stato, quando possibile, compito non facile.
Ma ciò che mi è parso più formativo e stimolante è stato il costruire rapporti medico-paziente basati sulla fiducia, con un linguaggio modulato ai bisogni e alle capacità di ognuno. Questo ha permesso di condividere molte storie di vita personale, familiare e sociale.
Quello che cerco di fare, adesso che sono in pensione, è rileggere le storie cliniche e di vita di alcuni miei pazienti per me significative. È come aprire una finestra sulla loro vita e darne un’immagine da osservatore interessato a comprendere se esiste un rapporto tra i sintomi, le malattie e il modo di essere delle persone, i loro comportamenti e la strategia di vita assunta da ognuno nella propria esistenza. Credo che la modalità di agire ed interagire con gli eventi della propria vita sia prossima al modo in cui ci si ammala; credo anche  che esiste la possibilità per ognuno di conoscerla e di modificarla. Questo è per me fare prevenzione, oltre che modificare gli stili di vita, per acquisire salute e mantenerla il più a lungo possibile. Conoscersi è fondamentale per cambiare.
Le storie sono vere, i nomi inventati, il punto di vista e le riflessioni sono mie. 

 Storia 1
 Gelsina ha 64 anni, non è sposata, non ha figli e vive con la madre di 92 anni anch’essa mia paziente. Il padre è morto, ha una sorella che vive nel loro paese di origine con la sua famiglia. Tutte le volte che viene in studio si presenta persona gradevole, con un comportamento rispettoso e mite, la conosco da oltre 5 anni. La vita le ha riservato un percorso  difficile: qualche anno fa si è ammalata di cancro all’intestino ed è stomizzata. I controlli vanno bene, ma ogni tanto presenta i segni e sintomi di una complicanza, una fistola tra intestino ed utero che le crea  difficoltà soprattutto emotiva. La madre è donna energica, autoritaria, testarda, lucida nonostante la veneranda età. A star loro vicino è palpabile la tensione che ne caratterizza il rapporto. Gelsina abbozza e fa la brava figlia. Un giorno mi racconta di un suo problema ai denti, li digrigna a tal punto che le fanno male. Abbiamo parlato del significato simbolico dei denti che in ogni specie sono arma per cacciare o per difendersi, oltre che per masticare il cibo. Dietro il suo bruxismo, la sua mitezza e la sua malattia la invito a considerare la possibile presenza di una rabbia intensa, repressa, mal percepita; uno sforzo costante di trattenersi e annullarsi. Ha pianto. Mi ha raccontato che quando è nata ha pianto, urlato per due giorni consecutivi a causa di difficoltà insorte al momento del parto per errori di procedura. La madre non ne poteva più e sempre ha raccontato a lei e a tante altre persone di come avesse avuto voglia di buttarla giù dal balcone e per poco non lo avesse fatto.
Avevamo affrontato anche la sua difficoltà a dormire e mi aveva raccontato che, quando ci riusciva, spesso sognava e un sogno recente l’aveva colpita ed angosciata: “ una donna corre a perdifiato con un coltello in mano, fugge terrorizzata perché qualcuno la insegue; quando ha l’impressione che sta per essere raggiunta si rifugia su un albero e dall’alto vede l’albero circondato da uomini con le lance erette. Decide di buttarsi giù e di farla finita, una lancia le trafigge la vagina…”
Gelsina è mite all’apparenza, sta in silenzio, non ha contraddetto la madre per tutta la vita, si è fatta del male piuttosto che ribellarsi perché ha sempre avuto il terrore di essere buttata via… È sbiancata, mi ha salutato ed è andata via.

Storia 2
Ho visitato a domicilio Enzo di 70 anni da qualche anno alle prese con gli esiti di un ictus cerebrale, allettato. Vive lontano dal mio studio, ma io vado a trovarlo volentieri regolarmente ogni mese e secondo necessità, è stato uno dei miei primi pazienti, e l’ho inserito in ADP (assistenza domiciliare programmata). Vive solo, è vedovo ed ha un figlio sposato che vive con la famiglia. Enzo è accudito da Nani, una donna di 51 anni proveniente dalla lontana Georgia. Nani è donna attenta, affidabile nel suo lavoro di badante, che parla sottovoce, un po' per la difficoltà ad esprimersi in italiano, un po' perché allenata a farsi notare il meno possibile, forse è clandestina o forse ha problemi nel suo paese. Certo è che da 6 anni è in Italia, prima a Bari e poi a Torino dove da più di un anno accudisce Enzo. Col tempo è cresciuta la confidenza e la fiducia nei miei confronti, ogni tanto mi racconta qualcosa: parliamo di nostalgia, di affetti. Lei ha un figlio di 9 anni che non vede da quando ne aveva 3, gli unici contatti sono attraverso la Rete. Lo vede crescere ma non può toccarlo, abbracciarlo. E’ molto triste e trova la forza di resistere a tutto questo perché da lei dipende la famiglia. Il suo sogno è quello di comprare un terreno in patria ed avviare una produzione di mirtilli. Non piange, ha una sua fierezza ed è consapevole che non può mollare. Non può neanche tornare in vacanza per i problemi cui accennavo prima. Mi accenna anche  un altro suo disagio, chiamiamolo così, ritiene la paga non adeguata al suo impegno 24h per 7 gg, lo sa perchè in contatto con sue connazionali più fortunate, ma non può lagnarsi perché clandestina e perché è stata reclutata da un’agenzia “prendere o lasciare”. Già da due volte cerca di comunicarmi che non si sente bene, che ha le palpitazioni e la pressione arteriosa alta. La visito ed oltre alla tachicardia e la pressione un po' alta, rilevo segni di anemizzazione. Lei teme di essere malata di cuore, le chiedo se ha mai fatto accertamenti di qualsiasi genere. Mi fa vedere il referto di un suo accesso in PS circa un anno prima. Era fortemente anemica tanto che l’avevano trasfusa. L’anemia era dovuta ad emorragie mestruali abbondanti e durature. Da allora non ha fatto più niente. Le ho prescritto alcuni controlli con le indicazioni su dove andare (da privati, a pagamento perché non è regolarizzata). E’ una donna che non piange, ma piange sangue. Il suo corpo manifesta le sofferenze dell’anima: la sua non è vita. Il suo apparato genitale vuole urlare tutte le sofferenze di madre e di moglie,  la solitudine ed i sensi di colpa, la rabbia per lo sfruttamento. Vuole resistere, ma vive in un modo che giorno dopo giorno le toglie energia e vita. Enzo è poi morto, Nina scomparsa.
L’ho rivista anni dopo, rinata, in compagnia del figlio piccolo e del marito. Era in tribunale per far valere i suoi diritti, aveva denunciato l’Agenzia.
 
Storia 3 in versi
CRISALIDE
Ti ricordo un passo indietro, un tono più basso,
una voce che non si modulava.
Ti ricordo con le mani sudate per la tensione, per l’impaccio e l’imbarazzo.
Ti ricordo tesa in volto, velata nelle espressioni,
gli occhi bassi.
Ti ricordo nascosta dentro te stessa, 
quasi a scusarti di esserci.
Mai però un alone di mediocrità, un’impronta di gregaria,
una parvenza di vinta per sempre.
Piuttosto un felino ferito, al riparo, guardingo con note di rabbia,
una voglia mai spenta di esserci e farsi valere.
Ora le tue mani stringono forte e sono asciutte,
ora la tua voce ha un timbro, un’identità.
Cammini diritta e guardi negli occhi.
Fai le cose con prudenza ed umiltà,
 ma sei decisa.
Stai meglio con te stessa, sei più bella
 ed esalti con i gesti misurati ed armoniosi 
la tua femminilità.
Sei fiduciosa ed affidabile, hai voglia di imparare e
vuoi far bene le cose che fai.
Ora, farfalla colorata, voli libera.
A me, testimone di questo tuo cammino, 
la certezza che è possibile cambiare.

(Dalla rivista il "Gazzettino della Valle del Sagittario")