Cocullo Elzeviri
8 Giugno 2025, 07:09
ARTIGIANATO A COCULLO: “O bandist’ o scarpar’”
Nino Chiocchio
Qualche Cocullese delle ultime generazioni (ma non dell’ultimissima) ricorderanno Virgilio Buccini. Quando era bambino gli fu chiesto che mestiere avesse voluto praticare da grande, al che lui rispose : “O bandist’ o scarpar’”.
Ho scritto che le ultimissime generazioni non possono ricordare il piccolo musicista-artigiano in quanto è morto a Sulmona nel dicembre 2022, dopo aver trascorso la sua vita, eccetto gli anni fino alla gioventù, fuori del paese natio e particolarmente a Roma tra le scartoffie legali e le pandette. Insomma lui aveva pronunciato quella frase, ma poi, dopo la frequenza al Liceo Classico di Avezzano, si laureò in Giurisprudenza presso l’Università la “Sapienza” di Roma.
Ho accomunato il sottotitolo al titolo perché le attività che lui prediligeva da piccolo erano radicate nell’armonia (dalla siringa di Pan alla settecentesca armonica a bocca) e nell’artigianato, dal flauto, al piffero, allo zufolo, alle cortecce intrecciate al legno dei sandali e delle calzature preistoriche. Specialmente nel periodo dell’occupazione tedesca e nell’immediato dopoguerra Virgilio forse emergeva tra i suonatori di fisarmonica a bocca (l’organetto) poiché quando io, inferiore di cinque anni rispetto a lui, salivo verso la piazza ascoltavo molti “organettari” grandicelli; più tardi, si distinse nell’allora orchestrina locale con la sua fisarmonica (suonava anche il pianoforte e il violino).
La breve biografia del musicista dilettante, a parte lo stimolo scherzoso per la profezia del fanciullo, serve anche da premessa alle origini del tema introdotto nel titolo: “L’artigianato”.
Negli anni ’60 del secolo scorso furono soppressi o ridotti alcuni istituti professionali o ne furono sconvolti i programmi: oggi al loro posto si trovano mobili casalinghi fatti in serie e, nel caso che qualcuno di questi sia difettoso, si trovano molti “appiccichini” e “scaricatrappole” e solo poche volte qualche praticone raziocinante.
La creazione di attrezzi e di utensìli e ornamenti lavorati a mano o con ausilio di arnesi che magari spesso entrano nella sfera culturale con le espressioni artistiche come il recente specchio, di un pastore artigiano di Palena, lavorato in noce durante la transumanza, possiamo dire che è una delle prime invenzioni dell’ “homo erectus” nelle prime forme associate sfociando poi nella nuova attività mercantile con i baratti.
Insieme alla musica l’altra colonna montante è l’artigianato. Quindi questo non è estraneo allo sviluppo e alla propalazione della “banda”: mi riferisco soprattutto alla propulsione che quel mestiere ebbe dall’attività mercantile dei primi pastori artigiani e barattieri.
Negli anni ‘60/’70 del secolo scorso lo scimmiottamento di una scuola orientata verso le attenzioni riservate alla sola industria intesa come unica forma di progresso impose un’emarginazione sempre crescente di istituti di istruzione utili alla società, come gli istituti professionali e le scuole d’arte e mestieri, per cui oggi non si trovano quasi più artigiani, ma apprendisti stregoni: ci si consola, se possibile, con il “fai-da-te”.
Nel rivo correvano le acque, queste ridevano nelle cascatelle e si tuffavano nei gorghi che rigurgitavano in sempre nuove scoperte più prodigiose di quelle precedenti, a loro volta più prodigiose di quelle precedenti, a loro volta più prodigiose ecc. ecc. Nella notte dei tempi il rivo esondò dall’alveo e i mortali inventarono … la fuga; ma tornò l’arcobaleno, poi il sole tornò a splendere e quegli esseri prima impauriti e allora fiduciosi, cercando di carpire l’arte alla musa della pittura, si riavvicinarono alle loro grotte e, poiché le acque erano tornate calme e limpide, i mortali ritennero che esse avessero voluto semplicemente manifestare la loro potenza e quindi non perennemente ostile, infine le considerarono uno strumento di una divinità benefica. Intanto le grotte si erano riempite e i nuclei familiari “in soprannumero” si stabilivano nei rifugi vicini e via dicendo; in ogni grotta apparve la figura del “faber”, poi artigiano o factotum che si adattò a sopperire alle esigenze della sua grotta e quanto più il futuro mastro fu capace e laborioso tanto più acquistò prestigio, tanto che più tardi si troverà un gradino più su nella scala sociale.
Con l’aumento demografico molti nuclei formarono le polis (città), queste si divisero in rioni e gli artigiani collocarono le loro botteghe preferibilmente nello stesso rione, gettando così il seme delle future corporazioni, le quali già esistevano dal tempo della antica Roma, divise per settori (carpentieri, calzolai, orefici, vasai, …).
Nei primi secoli del Medioevo l’artigianato si sviluppò nelle corti dei monasteri e dei latifondisti. Soprattutto nelle corti signorili ebbe molto risalto la figura del fabbro per la produzione di manufatti di varia natura e in particolare di armi e di ferri dei cavalli; nello stesso ambiente si incrementò la lavorazione ed il commercio della lana, per cui molti signori divennero duchi e granduchi sfruttando anche il commercio dei prodotti caseari derivanti dalla pastorizia.
In questo periodo le corporazioni, sorrette dallo spirito solidale diffuso nella società, oltre a proteggere i prodotti, divennero anche una specie di enti assistenziali per gli associati. Nel rinascimento le stesse incominciarono a dissociarsi eventualmente per timori concorrenziali con altre corporazioni o per la volontà di certi Maestri di esaltare la loro associazione; ma anche per un’evidente cautela che i protagonisti rinascimentali dovessero ricorrere ad artigiani estranei per la realizzazione di opere complesse: il caso più lampante lo offre il disegno dell’aeroplano che Leonardo intuì ma che avrebbe volato solo dopo secoli. Peraltro tentativi di divagare continuarono fino al barocco, quindi per oltre un secolo, quando sulla cattedra salì un grande architetto: Gian Lorenzo Bernini, rivale del Borromini come lo era stato Michelangelo di Leonardo, noto per la realizzazione anche della fontana di Trevi. Artigiani famosi divennero artisti e le loro “botteghe” formarono molti allievi. Tra questi ebbe notorietà l’abruzzese Giovanni Canale, allievo del Bernini, il quale era nato nella nostra baronia (Pescina – o Carrito? -, per cui egli fu soprannominato “Il Pescina”) -1, già con una preparazione press’appoco equivalente alla scuola media, fu introdotto a Roma dai genitori del cardinale Mazzarino (Pietro e Ortensia Bufalin) -2 la cui protezione gli avvalse la frequenza in botteghe celebri, fra cui quella del Bernini. Giovanni Canale, fra le altre opere, “gittò in bronzo la mole berniniana per la cattedra di S. Pietro (1660-65”- Treccani).
Nel ‘700 nacquero istituzioni specializzate per preparare i giovani all’esercizio della pratica artigianale.
Allorché Virgilio cominciò a frequentare l’Università, a Cocullo si affievolì il suono della fisarmonica a bocca. Perché? Stava emergendo il protagonismo dell’altra componente: l’artigianato. E dalla musica, che non si esprimeva soltanto nei pentagrammi ma anche nei poetici testi poetici delle romanze e della musica leggera, si passò all’oratoria degli azzeccagarbugli che spesso ammaliano gli arbitri delle controversie e si giunse a una ripugnante e sgangherata eco del vero, bellissimo ritmo armonizzato delle incudini dei gitani, uno dei capolavori di Verdi, il “Trovatore”, per finire ai rumori dalla monotonia estenuante, che oggi stordiscono negli anfiteatri, nelle piazze, e che “frastuonano” nei media.
Note
1 - Fino alla legge sull’abolizione dei feudi la baronia di Pescina, nella cui circoscrizione era compreso Cocullo, dipendeva dalla contea di Celano.
2 - Nota su Giovanni Canale nominato Artusi e detto “Il Piscina” - Una strada romana vicina casa è intitolata all’architetto Bufalini, mentre la mia casa cocullese è ubicata a Via Canale: una strana riflessione mi ha suggerito di aprire l’articolo ricordando un musicista dilettante locale e di chiuderlo con il figlio di una Bufalini, mecenate di un valoroso artigiano-architetto.