San  Domenico di Cocullo

IL SERPE, ORNAMENTO SIMBOLICO, E IL TRATTURO COME VEICOLO DELLE TRADIZIONI

Genesi: “la bestia più astuta fatta dal Signore Dio” è il serpente. Quindi mettiamo da parte il lungo percorso dell’ofiolatria in chiave mitologica e che senz’altro aveva consegnato al cristianesimo una lunga serie di successi. La bestia era stata di volta in volta simbolo di prudenza, di fertilità.
Dopo l’alba del primo Medioevo l’eco del patrimonio erpetologico risuonava ancora fortemente nelle orecchie degli ex pagani cristianizzati cocullesi, i quali d’altra parte non trovarono difficoltà ad incanalare la tradizione pagana nel nuovo credo per la tolleranza dei regnanti prima del XIII/XIV secolo. Se molti ritennero e hanno ritenuto che la fobia dei serpi determini la ripugnanza e la paura, penso che si possano ricredere per il fatto che l’istinto reattivo dell’animale tenta a pungere e considerato che ormai non si prendono più rettili velenosi.
Dopodiché, anche tenuto presente che già Mosè, durante la fuga verso il deserto aveva contato sulla protezione di un bastone sul cui manico era scolpito un serpe, nel paganesimo e nel primo cristianesimo dell’Alto Medioevo gli ex pagani, accettando confusamente il nuovo credo, favoriti in ciò dalla tolleranza dei regnanti, trovarono logico abbinare al nuovo Verbo la superstizione tramandata dalle usanze pagane.
 Il tortuoso intreccio religioso, che oltretutto gravita attorno al tema trinitario con allo sfondo la figura del serpe, espresso in questo caso da un serpe lapideo scalpellato dal un valente artigiano e rinvenuto fra i ruderi di quello che fu un luogo sacro, rivela un tormentato percorso nello spirito religioso dei credenti.
Scrive Jurgens Misch nel suo libro “Il Regno Longobardo in Italia” (Eurodes Ed., 1979) che le cripte nel VI-VII secolo erano direttamente collegate al culto dei serpi, culto coltivato dai Longobardi fino ai tempi del ducato di Benevento. In effetti, per gli artisti longobardi il serpente ebbe sempre un valore simbolico altissimo. F.B. Long precisa: Il Pomo, l’Albero, il Serpente sono solo i simboli di un più grande e tremendo arcano.
Lo spazio occupato dal serpe nel pantheon pagano era stato enorme, per cui i primi cristiani su cui abbondante risuonava l’eco idolatrica, accettarono il simbolo della bestia almeno come ricercato ornamento che spesso apparve in raffigurazioni esaltanti; ma talora non fu così, poiché
Ad uno dei lati di una colonna (Marsiglia, chiesa di Saint Victor) figura un serpe; all’altro appare un albero. Allora la bestia potrebbe essere la metafora dell’eternità  (aer perennius, “durevole più del bronzo”). Scrive H. Steuer (“I Barbari e l’ Italia", Melita Ed., 1992): “…figure di animali, soprattutto serpenti, intrecciati tra di loro, compaiono sui sedili del coro di una chiesa di Metz”.  
In questo caso, nello svolgimento di una funzione solenne, immaginiamo i religiosi seduti nel coro che inneggiano mentre sulle figure dei serpi, per carenza di interstizio sufficiente, aleggia un profumo non certo di verbena.
Nella stessa città la Regola dell’ “Ora et labora” disponeva che i monaci fossero  “prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”.
Ancora J. Minsch (op. cit.): “I Longobardi furono condotti, dal loro naturale spirito di tolleranza, a tentare una conciliazione del nuovo credo con il vecchio, mediante un’operazione culturale assai feconda, che rifondò dalle radici la loro spiritualità. OMISSIS…San Colombano… fuggì [scacciato dalla Francia dai Franchi?] in Italia, dove fu accolto con estrema familiarità ed amicizia dal re ariano dei Longobardi, Agilulfo. Nonostante la differenza di fede, quivi si dette al santo la possibilità di predicare e di operare liberamente su tutto il territorio del regno. OMISSIS… Il nuovo palazzo che Teodolinda si fece costruire a Monza e la chiesa ad esso annessa, dovettero sentire l’influenza se non l’opera diretta di maestri romani e bizantini. La regina comunque dovette approfittare dell’occasione per far stabilire a sud delle Alpi tutta una colonia di muratori e di scalpellini, la stessa da cui poi si sarebbe sviluppata la corporazione dei famosi Maestri Comacini”.
Teodolinda forse fu il tramite principale per una laboriosa intesa tra la Chiesa di Roma e i Longobardi ariani. Ella aveva sposato il re longobardo Autari, che però morì avvelenato dopo un anno di matrimonio. La regina, che intanto era andata a nozze con Agilulfo, nella prima decade del 600 aveva donato a San Colombano, con il consenso del marito, il paese di Bobbio con la chiesa di S. Pietro e i luoghi circostanti. Grimoaldo, fratello di Teodolinda, pressato in ciò anche dai suggerimenti di suo padre Garibaldo che era duca di Torino, era riuscito ad impadronirsi del ducato di Benevento e teneva esposto nel suo palazzo un grosso ninnolo raffigurante un serpe d’oro. Quindi, i Maestri Comacini di Teodolinda nella loro progressione verso il sud si erano inoltrati nell’Italia meridionale dove i Longobardi avevano creato i ducati di Spoleto e di Benevento.
Fine I puntata