Ho letto per voi

“SULLE VIE DELL’AMORE” di Nicolina D’Orazio

“L’amore è inspiegabile, / arcaico, nuovo, senza tempo/ e soprattutto invisibile. / Ma forse è guardando, / dal profondo del cuore, al passato/ che ne intravvediamo uno degli infiniti volti”; così l’epigrafe del racconto che Nicolina D’Orazio propone al lettore nel suo “Sulle vie dell’amore” (edizioni Menabò, marzo 2025); una storia che l’autrice confessa di aver raccolto per caso, una vicenda che l’ha colpita perché capace di andare a ravanare nel passato e pertanto a mettere in rilievo uno tra “gli infiniti volti” di questo sentimento che nella società contemporanea sembra irreperibile, o di difficoltosa individuazione… “…istinto senza nome”, ha scritto Giovanni D’Alessandro, in una veloce ma intensa prefazione; “istinto” …” tra esseri umani che si riconoscono bisognosi chi di ricevere, chi di dare amore”.

Il plot.
Carminuccio e Adele sono le immagini emblematiche di questa vicenda d’amore che (in poco più di 140 pagine, sinteticamente) si sviluppa dagli inizi del Novecento fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, in un paesino dell’Abruzzo montano dove gli abitanti vivono in condizioni non facili, ma con molta dignità, lavorando tutti alla pari, maschi, femmine e “bestie” (…come evocati nei quadri di Patini) più per avita scelta culturale che per necessità. Tutti, finché le forze non li abbandonano: Don Filippo, il signore del paese, don Osvaldo, prete di profumo di vangelo, (“con una vita dedita tutta agli altri”, ha scritto in postfazione Angelo Spina, Arcivescovo metropolita di Ancona-Osimo, già Vescovo di Valva e Sulmona), le bambine ed i bambini che popolano la piazza di Pacentro   (il paese nel quale la storia è ambientata); e tutti contribuiscono a dare e rappresentare il senso e la forza della speranza in un passaggio molto difficile della storia nazionale; persone cresciute nella difesa di quanto la fatica riesce a fargli mettere insieme: dai sacrifici, anche economici e finanziari per l’espatrio, alla coltivazione dei campi, alla utilizzazione e trasformazione delle ricchezze che l’allevamento del bestiame annualmente assicura nel quotidiano e nell’accumulo per il risparmio.
E coralmente il paese interpreta, accoglie o si difende dai cambiamenti che si rincorrono: la crescita di prepotenza del fascismo, la resistenza umanitaria; la guerra, il dopo guerra, le novità della repubblica, fino al voto alle donne.
Carminuccio e Adele, in qualche modo come predestinati ad essere marito e moglie, hanno due figli, Giuliano e Annetta, ciononostante non si sottraggono al richiamo di essere disposti a raccogliere ed adottare un bambino sfortunato che, raccolto in un brefotrofio, come tanti, all’epoca, arricchirà la casa e la famiglia dei coniugi, risolvendo un problema per il piccolo Marco che potrà crescere in un ambiente certamente più attento ed accogliente e dando un senso all’abnegazione, alla pazienza al sacrificio della famiglia, non soltanto mamma e papà, ma i nonni materni. Emerge e vince, in questo modo, la forza dirompente della “Provvidenza” che risolve i problemi di gente che nasce ed opera in un contesto morale forte, corroborato dalla cultura del rispetto, del buon senso, dell’onestà: “…non siamo ricchi ma dove mangiano cinque possono anche mangiare sei…”.
Dopo i due figli, Adele voleva e cercava un’altra gravidanza che stentava a manifestarsi e dove compare una mancanza, nella cultura paesana, subentrano solidarietà e vicinanza.
Apertamente il confidente più affidabile è don Osvaldo il quale conosce bene il dramma dell’infanzia abbandonata e ha ancora negli occhi un recente incontro avuto in treno con una donna affaticata che gli aveva confidato di essere in attesa, con tempo oramai scaduto, di due gemelli. Una donna che non aveva chiesto aiuto, ma come se l’avesse fatto.
E don Osvaldo, di fronte alle confidenze e alla richiesta di consigli di Adele, non perde l’occasione per farle valutare la possibilità di scegliere l’eventuale adozione di un bimbo bisognoso di affetto e di ambiente protetto e famigliare. Adele riferisce il senso dell’incontro a Carminuccio il quale le confida di aver sognato, Giuliano, suo fratello defunto nella costernazione e nel dolore di tutto il paese troppo presto, quasi che il consiglio di don Osvaldo fosse lo strumento da utilizzare per rispondere positivamente ad un implicito richiamo e stimolo derivante dal sogno che riproponeva quel dolore troppo forte e mai sopito, non solo da lui o dalla famiglia, ma come per tutto e sempre, dal paese nella sua interezza.
Vanno, pertanto i coniugi, accompagnati ed introdotti da don Osvaldo, a visionare il brefotrofio, a L’Aquila; e da quell’esperienza matura, anche abbastanza velocemente, la decisione di adottare Marco.  
Marco in paese è accolto come un figlio naturale di Carminuccio e Adele, destinatario dei medesimi affetti di Giuliano e Annetta, le medesime attenzioni e accortezze. I medesimi rituali festaioli del paese.
La vita scorre ed il fascismo, accolto con interesse e rispetto, soprattutto da Don Filippo, tra l’adozione delle leggi raziali, la negazione di elementari libertà consolidate, nei rapporti tra la gente di paese, a sentire “la radio” non soltanto sta portando l’Italia in guerra affianco a Hitler, ma incomincia a manifestare modi di essere, di governare e di comandare che insinuano dubbi e ripensamenti diffusi, a partire proprio da Don Filippo, per non parlare di don Osvaldo che ha già dato concreto segno di “resistenza solidale e umanitaria” a favore di ricercati che il paese ha nascosto e protetto su sua richiesta.
La vita scorre e incominciano a materializzarsi anche la definizione dei destini dei genitori. Angiolina, la madre di Adele viene a mancare. E nel rapporto tra i paesani la perdita, in una famiglia, di una madre va in qualche modo rimpiazzata e riempita con un supplemento di aiuto a carico di chi resta.
Luigino e Clarice, giovane coppia stretta agli affetti di Carminuccio e Adele, soprattutto Clarice, incomincia spontaneamente ad assumere comportamenti di supporto al lavoro domestico di cui Adele deve farsi carico, per soddisfare i bisogni quotidiani dei figli, oramai cresciuti e già scolarizzati, Marco, che è arrivato ai cinque anni e Nicola, il padre di Adele, oramai anziano e quasi completamente sordo.
Ma la Provvidenza, che anche nella coscienza popolare, vede e provvede, forse ha già stabilito come debbono andare le cose.
In occasione di un transito su Sulmona, per ragioni sanitarie (una visita medica di Clarice presso lo studio di una dottoressa, per l’eventuale diagnosi di una possibile gravidanza, consigliatale da Adele, come risposta pratica alle manifestate resistenze psicologiche di Clarice a farsi visitare da un ginecologo di sesso maschile) prima di riavviarsi a Pacentro, i coniugi passeggiando nei pressi della Piazza del mercato della città, pensano di vedere Marco da lontano. Scorgono infatti un bambino ben più gracilino di Marco, per la verità, che gli somiglia con una goccia d’acqua. Lo chiamano, lo inseguono, ma inutilmente. “Marco” non è attratto dalla loro attenzione. Ma la Provvidenza è già in azione.
Luigino e Clarice si fanno identificare da Rosa, la madre di Tonino (questo è il nome del bambino che somiglia in tutto e per tutto al “loro Marco”) e, tornati in paese, raccontano l’accaduto a Carminuccio e Adele, e i quattro, conoscendo l’andazzo della vita, nell’Italia del tempo, anche dopo una riflessione di don Osvaldo che non ha mai dimenticato l’incontro in treno della donna dei “gemelli”, sapendo oramai dove trovare Tonino e la sua famiglia, alla periferia di Sulmona, decidono di muoversi, allo scopo di valutare insieme se Tonino può essere il fratello gemello di Marco.
E la “svolta” della vicenda è questa. Ciò che una vita difficile e beffarda ha diviso e allontanato (madri, bisognose ed indigenti, di figli che non hanno potuto crescere insieme a loro e che son state costrette ad affidarli ad un brefotrofio; norme vigenti del diritto civile in materia di adozione e/o di affidamento che hanno portato i fratelli gemelli, Marco e Tonino a dividersi, uno a Pacentro, l’altro nella periferia di Sulmona) il provvidenziale destino riunisce per la ricchezza e la felicità di tutti.
Tonino, anche lui preso al brefotrofio, era stato adottato da Rosa e Franceschino detto “Scacciacane“e vive a Fonte d’Amore con una famiglia simile, nella composizione (una coppia con due figli), a quella che aveva “raccolto” Marco. E la proposta di Adele e Carminuccio di far riunire, a Pacentro, i gemelli, era interessante per Rosa e Franceschino, perché il momento economico che attraversa la coppia non è dei migliori e anche lo stato di salute, soprattutto di Franceschino, è cagionevole.
Coinvolto Don Filippo ed in qualche modo don Osvaldo si riesce a far ricongiungere Tonino al fratello Marco nella famiglia di Carminuccio e Adele, questo in maniera formale, sostanzialmente la vicenda coinvolge tutto il paese accoglie Tonino come se fosse un “figlio di Pacentro”.
Per il riconoscimento dei gemelli, come tali, si superano tutte le ombre burocratiche possibili soprattutto non c’è bisogno di particolari esami del DNA o altro, come è necessario oggi. A Fonte d’Amore Luigino, Clarice, Carminuccio e Adele hanno raccolto la testimonianza di Rosa del come e del perché Tonino stesse con loro e a quel punto Adele chiede se il bambino avesse la metà di una medaglia che la madre aveva, come traccia di riconoscimento indelebile, consegnato ai fratellini. Assodata la risposta affermativa di Rosa, non c’erano più dubbi: somiglianza perfetta, segni di riconoscimento autentici, Marco e Tonino erano i gemelli della donna incontrata a suo tempo da don Osvaldo e poi lasciati nel brefotrofio in L’Aquila.
Il racconto volge al termine, così come la guerra in corso, anche con le code degli anni della lotta di liberazione clandestina, la pace e la nascita della Repubblica, come scelta delle urne del 2 giugno 1946, quando per la prima volta, in Italia, a votare andarono anche le donne, anche a Cansano, e furono decisive per la scelta finale.
Un finale, come sempre, nella vita di gente semplice, fatto di fatiche e problemi affrontati, tuttavia con il piglio della testarda ricerca della rinascita: gli anziani che vanno nel regno dei cieli, i giovani che crescono, Annetta che si diploma e fidanza, Giuliano che sceglie di entrare il Polizia, Tonino che decide di “conoscere il mondo” e opta per l’espatrio in Canada (insieme ad un compaesano) ove conosce Mirella, una ragazza di origini calabrese. Si fidanza e comunica a Carmine e Adele, non solo la notizia che ha intenzione di sposarla, ma che “presto” spera di poterli riabbracciare (insieme a tutti gli amici del paese) perché nel viaggio di nozze che faranno in Italia, ha un desiderio grande di tornare.
Continuano a passare gli anni ed i cicli vitali si chiudono come è naturale.
E la storia raccontata da Nicolina D’Orazio si avvia alla conclusione con la grande soddisfazione di Adele, anche lei, però defunta, che ha la soddisfazione (cosa cercata in vita e mai raccolta) di essere chiamata “mamma”. Annetta, infatti, una domenica, così come era stata abituata a comportarsi, al cimitero, trova sulle lapidi dei genitori, “appiccicati con colla indelebile” due cuori di ceramica provenienti dal Canada. Sopra i cuori una scritta: “Mi manchi mamma” “Mi manchi papà”.
In vita, Adele, avrebbe voluto sentirsi chiamare “mamma” da Tonino, che non aveva mai avuto il coraggio di farlo. Gli spiriti di Carminuccio e Adele sembravano pulsare di luce.

Riflessioni
Un ottimo racconto, un bel libro. In qualche modo anticonformista e rivoluzionario, al giorno d’oggi.
Scritto con semplicità e sincerità, come raccontato intorno al fuoco (come s’usava quando i ragazzi, la sera, prima di andare a dormire, usavano ascoltare le storie raccontate dai nonni o dai genitori seduti con loro intorno al camino). Un pezzo di storia che non dovrebbe essere dimenticata, né cancellata. Un pezzo di storia che esalta il ruolo e la figura femminile. Certamente, ispirato da una cultura che ha forgiato la generazione che è nata a ridosso o appena dopo la fine della seconda guerra mondiale, ma che ha prodotto la rinascita vera di un paese distrutto materialmente e moralmente. Una cultura intrisa di amore (che è disponibilità verso gli altri), che è “dare”, senza chiedere nulla in cambio.
Pagine anticonformiste e rivoluzionari rispetto ai tempi che oggi viviamo, caratterizzati dall’egoismo, ovvero anche da una concezione diversa dell’amore che è violenza, sopraffazione e, addirittura, negazione dell’altro/a, negazione dell’amore.
Nicolina D’Orazio, con il suo editor, umilmente ha deciso di utilizzare il plurale, nel titolo. Senza alcuna polemica ma con motivata convinzione mi permetto di dire che questo racconto avrebbe potuto esser presentato in maniera apodittica, come “la via dell’amore” (perché quest’è).