LA SAGGEZZA DI BERTOLDO

Bertoldo era un contadino di quelli dalle “scarpe grosse e cervello fino”: così una narrazione leggendaria che risale a vari secoli dietro e raccoglie una tradizione longobarda.
Il bifolco seppe riscattare la dignità dei contadini dall’umiliazione che avevano loro inflitto i potentati dell’Alto Medioevo e ottenne la soddisfazione di riscuotere tranquillamente l’amicizia del re con disinvolta sfacciataggine; di più, raggiunse lo scopo di continuare a vivere con serenità e gaiezza.
La cornice è Verona, la corte di Alboino. Lo zoticone, piccolo e grasso, rozzo e sgraziato, sfila in mezzo ai cortigiani senza scappellarsi e a colpi di spintoni e va a sedere accanto al re. Costui forse riflettendo che l’intruso rustico non sarebbe giunto fino a lui agevolmente se non avesse avuto risorse geniali, lo interrogò incuriosito:
"Qual è la cosa più veloce che ci sia?" "Il pensiero! "; "Qual è quel mare che non s'empie mai?" "L'ingordigia dell'uomo avaro!"; "Qual è il più gran pazzo che ci sia?" "Colui che si tiene il più savio"; "Perché sei venuto qui?" "Perché credevo che un re fosse più grande di tutti gli altri uomini, come i campanili che stanno sopra tutte le case. Ma io vedo che tu sei un uomo come gli altri, anche se sei un re". (da google)
Al sovrano piacque il parlar chiaro e l’acutezza mentale dell’interloquito; anche i cortigiani e tutti i presenti, meravigliati, si divertirono, salvo la regina consorte, la quale contrariò il marito, per cui questi fu costretto a condannare all’impiccagione il disgraziato mostriciattolo, che pure lo aveva divertito tanto. Ma Bertoldo non si scompose, né si raccomandò, perché sapeva che il suo genio lo avrebbe salvato: chiese al re di poter scegliere lui la pianta in cui sarebbe stato appeso. Il re esaudì la richiesta e lui scelse una piantina di ceci… Fu questa trovata che gli salvò la vita in quel momento, perché quell’espediente suscitò l’ilarità dei presenti; il re decise allora di tenerlo con sé sempre a corte. Ma questo fu il risvolto negativo che avrebbe causato la morte del protagonista, abituato com’era a vivere una vita semplice e sana del contadino, abituato a cibarsi con rape e fagioli.
Quando Bertoldo morì Alboino avrebbe ordinato un epitaffio da incidere sulla pietra tombale in caratteri d’oro: “In questa tomba tenebrosa e oscura,/ giace un villan di sì deforme aspetto,/ che più d'orso che d'uomo avea figura,/ ma di tant'alto e nobil'intelletto,/ che stupir fece il Mondo e la Natura.”
Fin qui la leggenda. Sembra che oggi in questo mondo lacerato servirebbe una battuta di un redivivo Bertoldo… Ora ci permettiamo di aggiungere due parole per auspicare -  e penso che sia d’accordo anche il lettore – al presunto mostriciattolo di vivere nell’immortalità e di trasformarsi in una miscela di alti ideali, si chiamino essi Dio, Confucio, Maometto, Trimurti, Ortodossia, Zarathustra, affinché quella miscela salvi l’economia agro-pastorale (la metafora di “rape e fagioli”) ed avvolga in un pietoso velo resistente questo pianeta un po’ ammaccato e un po’ incerottato.

In proposito vorrei continuare celiando, proponendo al lettore di suggerire elementi chi, tra Alboino e Bertoldo, possa allenare la seguente squadra di calcio “global”, cioè composta da elementi estratti fra i più noti giocatori del mondo: centravanti Xi Jinping, ala sinistra Putin, mezz’ala sinistra Scholz, mediano d’attacco Erdogan, mezz’ala destra Macron, ala destra Trump, terzino sinistro Sànchez, centro-mediano Tusk, libero Netanyahu (cartellino giallo), terzino destro Meloni, portiere Zelensky. Riserve, in panchina: Ursula von der Leyen, Petteri Orpo, Mette Frederiksen, Bart de Wever, Ingrida Simonyté, Edi Rama, Mitsotakìs Kriakos.