Valle Peligna Politica
6 Febbraio 2025, 06:45
Parliamo di cose concrete
È DAVVERO INCURABILE LA “MALATTIA” DELLA POLITICA SULMONESE
Andrea Iannamorelli
Io sono troppo anziano per proporre una diagnosi con relativa cura. Tuttavia, fino a quando la memoria mi assiste, sono nella condizione di tracciarne, in qualche modo, un’anamnesi. Ed incomincio con un riferimento temporale, tanto per capirci: la malattia della politica a Sulmona si manifesta dalla dissoluzione dei partiti che hanno caratterizzato e segnato la cosiddetta “prima Repubblica”; cioè dalla seconda metà degli anni novanta, dall’alba del 2000; da quando i Sindaci incominciano ad essere eletti direttamente dai cittadini, in omaggio ad un sostanziale stravolgimento della cultura politica, derivato dagli esiti indiretti di “tangentopoli”…dal “lancio delle monetine su Craxi all’Hotel Raphael” e dal PCI che dal XX congresso del partito si chiamerà DS (le lacrime di Occhetto), dall’affermazione delle “teorie berlusconiane” che la “buona” politica pubblica appartiene a chi nella vita riesce a far bene per sé e per i propri interessi (lui ne era la dimostrazione vivente). I socialisti si disperdono, il PCI diventa DS, la DC si divide in “popolari di Martinazzoli” e CCD (Centro Cristiano Democratico). Questo a livello nazionale, con tutti i conseguenti mutamenti che negli anni si sono manifestati nella fenomenologia della trasformazione della nomenclatura politica.
A Sulmona la trasformazione è stata meno fluida, molto “paesana”, molto “elementare e semplice”, quasi che lo stravolgimento dei vecchi riferimenti non dovesse riguardare il bisogno di un cambiamento sostanziale dei modi di far politica ma soltanto “i nomi delle appartenenze”. E gli antichi raggruppamenti di coloro che si ritrovavano nelle “correnti” (o gruppi) all’interno dei partiti di qualche decennio prima si son “riciclati” soltanto in apparenza, rimanendo quel che erano: da quel momento si son dati nomi di “amici di Caio…di Sempronio”, rimanendo sé stessi.
E questi vent’anni hanno prodotto, dal 2001 ad oggi, sei Sindaci (da Centofanti a Di Piero) e cinque Commissari prefettizi (da Colagrande a D’Alessio) dal 2003 al 2024. E il “guaio” è stato che in questi venti anni la crisi mondiale dei cambiamenti sociali, economici e prodottivi ha abbassato e notevolmente la capacità di resilienza dell’Abruzzo e delle zone interne, in particolare, con la mancata soluzione di antichi problemi infrastrutturali, ma soprattutto la ripresa di un fenomeno migratorio che (condizionato anche dai terremoti e dalla pandemia) ha riguardato le generazioni potenzialmente più produttive, quelle dei giovani laureati che, al termine del ciclo di studi hanno pensato di “scappare” fuori dalla regione e anche dall’Italia alla ricerca di occasioni possibili di lavoro più accattivanti di quelle offerte da queste terre “bloccate” e prive di credibili prospettive di ripresa, sempre più impoverite e ridotte al proverbiale “lumicino”.
Privazione di classe dirigente (politica ed economica). Quella classe dirigente che, dal dopoguerra a tutti gli anni ottanta, sostenuta da un sistema nazionale di gestione della cosa pubblica armato di forza e coraggio finalizzati a “rinascere” (in tutte i sensi e in tutte le direzioni), qui interpretato soprattutto da giovani democratici cristiani, laici e socialisti, sostenuti e appartenenti a filiere regionali e nazionali nate dalla resistenza, dichiaratamente, culturalmente e convintamente antifasciste, avevano dato impulso alle occasioni di ripresa che negli anni cinquanta e sessanta hanno portato la trasformazione dell’Italia e di questa fetta d’Italia da un paese sostanzialmente agricolo, sostenuto da una cultura contadina, ad un paese terziario ed industrializzato.
In quei decenni la Valle Peligna, Sulmona ed il circondario hanno fatto registrare segni di particolare interesse e sviluppo. Oggi tutto è decrescita ed impoverimento.
Il circondario territoriale della città d’Ovidio si sta riducendo al limite della sopravvivenza.
Sulmona non registra nemmeno ventimila residenti. Questa è la realtà.
Gli elettori di questa città, quando a primavera saranno chiamati alle urne per ridare un Sindaco a Palazzo San Francesco, rischiano di trovarsi di fronte una proposta di centrodestra, incapace, però, di rappresentarlo tutto perché, nonostante le firme apposte a comunicati ufficiali da parte degli accreditati rappresentanti della coalizione meloniana e marsiliana che hanno compiuto l’atto formale di dire “candidiamo l’avvocato Tirabassi”, già lasciano intravedere distinguo e riserve. E come al solito i musi lunghi che già contestano la proposta-Tirabassi nel centro destra, non sembrano nascere dall’essere “contro” il candidato ufficialmente proposto, bensì “contro” chi lo ha proposto…Insomma la coalizione del centrodestra che si profila fa pensare di più ad un’alleanza tattico-elettorale che a una proposta politico-programmatica per tentare di riprendere le fila di una prospettiva futura di Sulmona e dintorni.
E quella parte (o quel che resta) dei “socialisti” ancorati al ricordo del ruolo del primo Sindaco direttamente eletto nel 1993 (Bruno Di Masci) sembrano pronti a chiedere di entrare in questa coalizione, con l’apparente prospettiva di raccontare “la Sulmona che vogliono” (comunque finora non dichiarata) ma sostanzialmente pronti a svolgere il ruolo che appartenne a Di Masci nell’ultimo miglio dell’esperienza Casini, a surroga e sostegno di un Sindaco espressione di una maggioranza che aveva fortemente contrastato, in campagna elettorale e per buona parte della “sindacatura”.
In altre parole, l’obiettivo potrebbe essere quello di occupare spazi di rappresentanza. Non senza motivo oggi già si sottolinea che questa lista potrebbe essere sostenuta dalla consigliera regionale Maria Assunta Rossi, neofita pratolana “marsiliana”. (Addirittura questi “socialisti” rivendicano di averla proposta, inutilmente, come candidata Sindaca).
Nella medesima area politica in qualche modo riconducibile al centro-destra, pare si stiano muovendo coloro che dicono di voler dar vita ad un “terzo-polo” (ex democristiani di un tempo lontano e dissidenti degli attuali rappresentanti riconosciuti della “destra meloniana e marsiliana”): si parla di Pagone e Centofanti. Il primo affermato professionista, con esperienze di militanza politica in quella che fu la limitata esperienza nel CCD cittadino ai primi degli anni novanta dopo il dissolvimento della DC; il secondo (ufficialmente “indipendente”, già Sindaco per pochi anni, tra il 2001 e il 2003, eletto con una coalizione tra Forza Italia, Alleanza nazionale e liste civiche riconducibili alla ex DC). È abbastanza evidente che nell’ipotesi che questo progetto dovesse manifestare di aver gambe per camminare sarebbe impinguato da raggruppamenti privi di identità di provenienza storicamente partitica, ma caratterizzata da persone sostenute dal bisogno di rappresentazione di istanze cittadine legittime ma assolutamente limitate e definite. Pertanto, proprio per questo, inaffidabili, nella prospettiva di un disegno capace di riportare la città all’interno di una filiera politica che oggi governa il Paese e la regione.
Nell’area del centro-sinistra al momento si tenta rimettere in sesto l’aggregazione (tra PD, M5S e liste civiche) che consentì a Di Piero, nel 2021, di andare al ballottaggio contro Gerosolimo e batterlo con il 70% circa dei consensi. Con l’esito, dopo appena tre anni, che conosciamo. Per le contraddizioni che non riuscirono a chiarire questioni interne al PD e che fecero implodere le “civiche” indebolite, rispetto al sostegno a Di Piero, da presenze politicamente in netto contrasto con lo stesso PD, per quanto ha riferimento alla collocazione di schieramento. (Non si può, eletti in una coalizione di centrosinistra, andare a votare per un presidente della provincia di garanzia di centrodestra. E pensare che la vicenda non inquini i rapporti all’interno della medesima coalizione cittadina dalla quale si proviene; soprattutto se in questa coalizione c’è chi ha ragioni per strumentalizzare quel che è stato!).
A mio modestissimo parere, al momento, questa non appare la condizione migliore per “curare” quella che non da oggi mi piace definire “la malattia” della politica sulmonese. Malattia che non può e non deve interessare soltanto la città d’Ovidio ma tutto un circondario che, privo del perno geografico governato con chiarezza e saggezza, inutilmente aspetta di riprendersi un ruolo chiaro e credibile nel panorama regionale.
I problemi di questo territorio sono noti; e sono quelli di tutta la regione e del Paese: (in grandissima sintesi) occupazione e produttività, assistenza sanitaria di base e affidabile, infrastrutture (viarie, ferroviarie e dei servizi) funzionali ai bisogni dei residenti sparsi su un territorio impervio e sempre in diminuzione.
Su questi temi va costruita una proposta di gestione amministrativa, sostenuta da un progetto serio di rifunzionalizzazione della macchina gestionale di Palazzo San Francesco. No su altro: appetiti diversi dall’ occupazione di presenza e di rappresentanza in uno scranno dal quale, a volte, si riesce a far più male alla città che non astenersi dall’andare a votare (di per sé il male peggiore e devastante. Circa il 40% degli elettori potenziali, oramai, in questa città non va alle urne!
La ragione forse la si ritrova nelle pieghe del racconto che mi sono assunto la responsabilità di fare?).