Edizioni L'Atelier
21 Dicembre 2025
Edizioni online - L'Atelier
Nino Chiocchio, L’alba dei travetti e il crepuscolo dei travetti
Capitolo XII - Altre opere ed altri giorni
Redazione
Quella sera, per la perdita al gioco toccava pagare a Travetti: molto spesso gli amici di quella specie di “Legione straniera” scendevano a Francavilla, o ad Ortona, o a Pescara, o a San Vito, o a Termoli e si riunivano attorno ad una tavola imbandita pagando il conto a turno. Andarono a “La nave” di Francavilla e consumarono un antipasto di mare, spaghetti alla Faruk, arrosto di pesce, zuppa inglese, navetta (un omaggio della ditta) e vino. Seneca dice che la vita è come una favola, non quanto è lunga, ma quanto sia ben narrata. Quindi, bisogna narrarla bene; ricetta: un’allegra e assortita brigata attorno ad una buona tavola.
Poco importa che poi si diventi euforici e si torni con una macchina in meno, visto che le chiavi dell’automobile di Giancarlo erano state gettate da qualche commensale più brillo nel buio della notte, ed il proprietario, arrabbiato, se n’era andato a dormire in un albergo di Francavilla. Perché questo era successo dopo cena. Travetti arrivò in città assonnato e stanco; e così andò al lavoro poche ore dopo, cioè la mattina seguente. Fatte le brave sei ore, che in quelle condizioni più che brave furono fastidiose, si organizzò per la nuova giornata, che per lui cominciava alle due pomeridiane. Riemerse dal portone annoso e si tuffò nella luce di una splendida giornata. Incontrò per via un altro travet, e con un sorriso innocente lo catechizzò sulla necessità di vivere nella luce naturale, nella pulizia del cielo terso... Poi giunse a casa, mangiò; dopodiché montò su Peppinella e andò a gustare il tramonto sul mare, press’a poco dove la “vecchietta delle telline” raccoglieva i frutti di mare. A questo punto sembra opportuno aprire una parentesi. Dopo l’acquisto di Peppinella, quando la mattina Enzo si alzava molto tempo prima di andarsi a sedere davanti alla consueta scrivania, scendeva a gustare il paesaggio meraviglioso fra i pini della riviera retrostante alla torre di Cerrano (D’Avalos?): questa doveva essere stata una torre di avvistamento fra il verde del mare e il verde dei pini che costeggiavano la riviera.
Una mattina si avvicinò a riva per ammirare la sfilata delle paranze che prendevano il largo. Ad un certo punto dietro uno scoglio apparve non una sirena, ma una vecchietta ricurva intenta a raccogliere frutti di mare per arricchire la sua bancarella prima che tornassero i pescatori. L’età inoltrata, le condizioni fisiche e la veste dimessa lo colpirono e nel salutarla Enzo propose alla nonnina di aiutarla. Lei accettò volentieri e quella “cerimonia” della raccolta dei molluschi si ripeté più volte.
Enzo, rispettoso dell’orario, prima delle otto mattutine, arrivò in ufficio. Nel pomeriggio telefonò agli amici per organizzare la solita cenetta al mare. A sera, dopo la prima cena, la palla di Luca veniva sballottata da sedici piedi nervosi sulla riva del bagnasciuga sornione diluito nel cielo infinito.
La sera appresso Enzo fu invitato al ballo organizzato dagli studenti all’Istituto Tecnico Industriale; accettò volentieri: la mattina dopo andò regolarmente in ufficio, ma aveva un sonno terrificante! Terminato il turno di lavoro il nostro si avvide che la neve della montagna gli sbatteva in faccia il rigore invernale: e allora il torpore svanì. Prese l’automobile e scese verso il mare, ancora per poco solitario e selvaggio. A valle un timido venticello gli portò l’odore dei peschi e dei mandorli fioriti. E, prima di arrivare, si fermò attonito fra il brontolio delle onde e l’immanenza austera della montagna ancora immacolata. Ma il giorno dopo dovette tornare in ufficio. (Continua)




