Nino Chiocchio, L’alba dei travetti e il crepuscolo dei travetti

VIII Capitolo - Il Precetto, il peccato di gola e le vongole

Un giorno (era arrivato a Chieti da pochi mesi[1]) passeggiava con Lucio, e questi - poiché si approssimava la solennità della Pasqua - lo invitò a fare con lui il Precetto. L’amico accondiscese e andarono a confessarsi in un convento di frati, i quali li accolsero in due stanzette disadorne riempite dalle voci cavernose che scaturivano dalle folte barbe bianche di due cappuccini; questi, quasi che i due giovani penitenti fossero seguaci di sette eretiche, mostrarono non essersi distaccati di molto (almeno quello che toccò al nostro) dalle regole della Santa Inquisizione. Infatti la confessione di Crescenzo assunse il carattere di un interrogatorio impietoso. Press’a poco cominciò così: “Donne?”. L’inquisito, che aveva appena superato il quarto di secolo e che lì conosceva ancora poca gente, rispose in un dialetto che amava rispolverare nei momenti di stizza: “Co’ ‘sta micragna..!” (Cioè: con questi chiari di luna...). In verità forse non replicò in italiano perché sperava di non essere capito... Comunque, anche se preferiva esprimersi in dialetto, quando si irritava non disdegnava il romanesco. Al che il confessore: “Lei non è sufficientemente preparato a ricevere i Sacramenti”. Risposta: “Ma Padre, consideri il mio stato, la mia età, la mia condizione...”. E quello: “Veramente lei mi ha già illustrato queste cose, però non mi pare che abbia risposto adeguatamente alla mia domanda; per cui...”. La frase della “micragna”, pure se colorata col cromatismo dialettale, sembrava così esaustiva nella sua lapidarietà che il poveraccio si sentì perso, tanto più che il suo amico aveva già superato l’esame ed a lui non garbava di fare una brutta figura in quel frangente. Enzo ricordò i versi del poeta e conterraneo Modesto Della Porta, allorché fa dire alla vedova di zi’ Carminucc’ - di fronte alla riluttanza del prete a celebrare il funerale dell’asino ereditiero - che avrebbe cercato “une cchiù di còre bbone”; e glielo disse: “Padre, ritiene proprio che io debba esporre i miei casi ad un suo collega più comprensivo?”. Per fortuna quello non lo ritenne opportuno ed alla fine i due si misero d’accordo.
Così venne Pasqua e l’ “inquisito”poté comunicarsi. Poi andò a trascorrere la “festa”[2] con i suoi nel paesello natio e la domenica successiva ebbe anche il tempo di rifarsi un giretto nel Parco Nazionale d’Abruzzo con un amico.

Le vitamine- Quando tornò a Chieti Enzo si accinse alle pratiche consuetudinarie, più che normale in un giovane che lavorava con entusiasmo, che con altrettanto entusiasmo coltivava le amicizie e che impiegava quel po’ di tempo che gli restava per suonare il violino e per scendere a Pescara onde gustarsi un gelato da “Camplone”. Una sera aveva fatto tutto questo in poco tempo e quindi aveva più appetito del solito. Arrivò in albergo, per la cena, di buon’ora, prima degli amici. Il cameriere, poiché si approssimava l’ora del pasto, apparecchiò anche per gli altri. E portò un bel vassoio di frutta per tutti quelli della tavolata; invece la consumò tutta Enzo: sarà stato perché i commensali tardavano ad arrivare, sarà stato perché la cena gli era sembrata frugale, sarà stato perché voleva stabilire se erano più buone le mele o le arance, il nostro ripulì l’intero vassoio della frutta. Tornato, l’inserviente fece notare all’interlocutore ghiotto, con alquanta perplessità e discrezione, che le “vitamine” erano per tutti. Chissà che anche da quell’episodio non scaturì la volontà di chiudere l’esercizio?! Come abbiamo visto, avvenne qualche mese dopo, la chiusura, che ben poteva essere stata determinata anche dalla preoccupazione di liberarsi di una torma di lupi!
         I collegamenti fra Chieti e Francavilla (o Pescara) erano abbastanza comodi. Ai treni c’era da preferire l’autobus, e per la frequenza delle partenze e per la necessità (nel caso dell’opzione ferroviaria) di raggiungere la stazione, alquanto lontana, a bordo di Peppinelle (così i Chietini chiamavano il filobus che scendeva al loro scalo ferroviario). Gli autobus partivano dalla piazza antistante la cattedrale di San Giustino e ti sbarcavano quasi sulla spiaggia. Che Enzo amava raggiungere soprattutto nelle giornate fresche e meno favorevoli alla balneazione, perché allora il sussurro delle onde che la accarezzavano, quando non era turbata dalla presenza dell’elemento umano, sembrava armonizzarsi meglio col vento leggero che sfiorava appena la cima dei pini. E poi aveva conosciuto quella vecchietta che trovava sempre sul bagnasciuga a raccogliere frutti di mare!
 
Compagni di scuola - Un giorno Enzo passava per il “Pozzetto” allorché un signore giovane e calvo lo fermò apostrofandolo così: “Ma tu non sei Enzo?”. Il nostro lo squadrò bene e gli parve di riconoscere uno dei suoi migliori compagni di Liceo, Dario; ma da adolescente quello aveva tanti capelli... Glielo fece notare, e colui - passato il primo momento - replicò divertito che aveva smesso di giocare a pallone da vari anni, che adesso faceva l’Ispettore alla Direzione Provinciale delle Poste ed aveva preso moglie, la quale poi era una compagna di scuola d’una sorella di Enzo. Costui in seguito approfittò più volte dell’ospitalità della giovane coppia. 
         Chi non s’era sposato, e spesso a scuola aveva diviso il banco con Dario, era Luigi. Enzo lo rivide a Pescara, funzionario di banca, poco tempo prima che se ne andasse in Lombardia, dove aveva vinto un altro concorso per il passaggio di gruppo “A”. A scuola generalmente Luigi occupava con Minucio il secondo banco della fila in mezzo, dietro a quello di Travetti. Erano bravi ragazzi, ma un po’ discoli, come lo sono a quell’età gli alunni sotto pressione: presi, come erano, tra gli studi umanistici, si disimpegnavano egregiamente fra logaritmi e tragedia greca. Ecco perché erano discoli, anche loro avevano bisogno di sfogarsi, e allora uno degli obiettivi preferiti era Giuliano. Costui era il compagno di banco di Travetti, un pretino che, impossibilitato temporaneamente a frequentare il seminario vescovile, era stato costretto a curare la preparazione per gli esami di maturità in una sezione maschile di un Liceo laico, che però lo formò ...come uomo borghese. Infatti dopo gli esami Giuliano abbandonò la tonaca e si fidanzò con una ragazza più alta di lui ...dopo avere indossato una cravatta sgargiante che mal si conciliava con il dismesso abito talare. Perché tutta questa fretta? Avesse contribuito anche la “scuola” di Luigi e Minucio? Un giorno, durante lo svolgimento di un compito in classe, Giuliano incontrò delle difficoltà e con molta cautela, abbassandosi sotto il banco, si rivolse a Luigi – poiché il professore aveva invitato Enzo a scrivere con l’alfabeto greco la frase più scabrosa del brano da tradurre sulla lavagna - per farsi aiutare a risolvere il problema che lo assillava: a parte le difficoltà intrinseche, quella versione dal greco non si attagliava troppo ad un pretino, vertendo essa sui rimedi suggeriti dalla filosofia epicurea per affrontare con qualche probabilità di successo le asperità esistenziali. I due, dopo essersi scambiata qualche opinione in un rapido bisbiglio, si ricomposero ed assunsero l’atteggiamento candido e serio imposto dalla situazione, che aveva per protagonisti il professore, il quale vigilava passeggiando fra i banchi, e gli alunni, impegnati nella traduzione; poco dopo Luigi gettò un biglietto arrotolato fra i piedi di Giuliano, il quale lo raccolse e lo srotolò senza troppe cautele, certo che il suo pio desiderio fosse stato esaudito. Nella cartuccella c’era scritto: “Logaritmi e tabelle d’amore: / alle donne dai sedici in su, / impostato il problema del cuore, / non lo sanno risolvere più...”. Il docente, accortosi del traffico, si diresse verso il primo banco e sequestrò il biglietto galeotto: per lui fu un gioco riconoscere la grafia di Luigi, il quale inutilmente tentò di giustificarsi sostenendo che, sì, il testo lo aveva scritto lui, ma aggiunse che glielo aveva dettato lo scandalizzato Giuliano. Costui, non avendo voluto assumersi la paternità dei versi incriminati, fece beccare una nota sul registro scolastico al suo compagno, il quale in fondo si stava facendo i fatti suoi, cioè il compito suo, allorché il seminarista gli aveva chiesto il suggerimento. E questo, Luigi, non lo mandò giù. Il giorno seguente si fece prestare da Minucio un libro illustrato con fotografie pornografiche e lo mise nella cartella aperta di Giuliano; poi fece in modo che cadesse, la cartella, e che i libri in essa contenuti si sparpagliassero davanti alla cattedra in cui s’era seduto l’insegnante di filosofia. Costui guardò sconcertato il casto allievo, che era diventato paonazzo e che poco dopo, avendo riconosciuto nella pubblicazione l’odiato ed osceno volume che Minucio e Luigi eran soliti mostrargli per provocarlo, puntò l’indice accusatore sui due burloni che se la ridevano compiaciuti fra i colleghi divertiti. Questi strizzavano gli occhi all’innocente alzando lo sguardo dalla foto d’una baldracca alla sua tonaca. Quella volta la punizione fu più severa: due giorni di sospensione a Luigi, due a Minucio ed una nota a tutta la classe, meno che al reverendo. Ma la cosa non finì così: perché non era giusto che si beccassero tutti la nota, solo perché avevano riso ed alluso, mentre la causa indiretta del putiferio ne usciva incolume. E la giustizia ...trionfò nei vicoli nascosti dietro l’edificio del Liceo, dove la scolaresca aveva portato con un pretesto il povero Giuliano, che si ebbe lì la sua punizione (di cui non parlò mai con altri perché avvertito di eventuali ritorsioni). Per la cronaca, secondo quanto riferì successivamente un amico a Travetti, sembra che Minucio abbia battezzato un figlio di Giuliano. E nello scenario del “Pozzetto” l’episodio fu oggetto di rievocazione nel corso di un incontro fortuito tra protagonisti. Bei tempi, anche quelli... Ma ora torniamo fra gli amici della stagione chietina. (Continua)

[1] In realtà questo episodio era avvenuto l’anno prima, ma gli appunti presi in quella circostanza furono sviluppati nell’agenda dell’anno successivo forse per una maggiore disponibilità di fogli in bianco o per altri motivi. La cosa non si verificò spesso, ma... (V. Le vitamine,Palinuro e Peppinella, ecc.).
[2] La sagra paesana, per lui la maggiore solennità religioso-folcloristica dell’anno. Per chi volesse conoscere lo svolgimento della festa al tempo di quando lo scrivente era bambino si rimanda al suo articolo pubblicato il 28 aprile 2023 sul “Gazzettino della Valle del Sagittario”. Si tenga presente, però, una foto della Canziani degli anni ’20 del ‘900 riproducente alcuni rettili che strisciano sul pavimento della chiesa.