"Una vita spezzata"
di Iole Cianfaglione

Ho trascorso queste prime ore del nuovo anno con un racconto lungo scritto dalla mia consuocera, Iole Alba Cianfaglione, nata a Pratola e residente in Bagnaturo. Un atto d’amore struggente nel quale l’autrice ha il coraggio anzi la forza di raccontare parti significative della sua vita e della sua famiglia, strapazzata e colpita dalla “grande oscurità” (come Bergoglio definì la droga, ai primi anni settanta, quando era ancora in Argentina). Quella “grande oscurità” già presente, in quello stesso periodo, in Valle Peligna, ma soprattutto “spacciata” e mercanteggiata fortemente nella Germania dell’Ovest, ove, come tanti corregionali, tra cui anche i Cianfaglione, emigrarono, in cerca di una vita migliore.
“La vita spezzata” che racconta la Cianfaglione è, emblematicamente, quella di uno dei suoi fratelli, Tony, che a 52 anni per gli effetti devastanti provocatigli dall’uso di cocaina ed eroina lo hanno condotto a morte, nonostante le attenzioni e gli interventi dei genitori, i periodi di disintossicazione cui si è sottoposto, in Germania e in Italia, in un’alternanza di andate e ritorni tutti finalizzati a tentare di sottrarlo al destino ampiamente previsto e scritto che, nella consapevolezza di storie simili, finiscono tragicamente. Ma è anche, in qualche modo, nelle sequenze narrate, la “vita” di un’intera famiglia che ha dovuto fare i proverbiali conti con la situazione difficile legata alla storia di Tony, un artista nell’arte figurativa e nella scrittura che, se non si fosse fatto travolgere dalla “grande oscurità”, meriterebbe oggi di esser ricordato per le cose belle espresse.
 
La vicenda.
Siamo alla fine degli anni sessanta, quando Vicenzo e Paola, i genitori di questa famiglia, si trasferiscono in Germania, presso parenti, pur senza rompere i legami veri con Pratola e la Valle Peligna.
E le prospettive sono buone. L’obiettivo che la coppia si era dato si materializza abbastanza presto. Le condizioni economiche della famiglia, infatti, crescono, insieme ai figli che vengono concepiti e cresciuti con amore e attenzione. Anche se proprio Tony, che nasce da un parto difficile, deve affrontare presto gli esiti di un salvataggio chirurgico che gli procura difficoltà alle corde vocali. Questione che paga, nei rapporti con i pari, a scuola, in termini di bullismo e disagi che in parte lo isolano e l’incattiviscono. Di qui, racconta la sorella, hanno inizio tutti i suoi problemi relazionali con un ambiente sostanzialmente violento nel quale, in modo sbagliato, l’uso e lo spaccio della “dama bianca” identificava i vincenti.
Si pensò, per il suo bene, di fargli raggiungere i genitori in Germania, per sottrarlo a quel mondo peligno nel quale sembrava crescere “pericolosamente”. E forse non fu, quella, una scelta azzeccata, perché Tony, alla periferia di Bonn, incominciò a frequentare amicizie, rapporti e luoghi ove i ragazzi inclini come lui all’uso di sostanze stupefacenti vivevano una vita e una promiscuità da “sballati”.
All’inizio degli anni ottanta, infatti, Vincenzo e Paola, anche per l’esito positivo del loro lavoro in Germania, pensarono di tornare. E agli effetti positivi di questa scelta si collegarono presto quelli negativi, legati anche ad una situazione di contesto ambientale aggravata dalla ubicazione di Pratola Peligna, all’uscita del casello della A/25 e quindi del collegamento con Roma e con i traffici veloci che si diramavano dalla capitale in direzione dell’Adriatico. Insomma le amicizie ed i collegamenti di Tony con le pericolose compagnie peligne aggravavano il suo temperamento, il suo modo di essere e di comportarsi. Incominciano le prime conseguenze giudiziarie ed i primi esiti restrittivi. Cianfaglione racconta come a nulla siano servite la soddisfazione dei bisogni che sembravano manifesti: l’attenzione alla musica rock (che ascoltava al buio e a tutto volume, un modo di vestire vicino ai punk, comportamenti irosi e rissosi, identificati, dai pari, come “premianti”, nell’ambiente).
A quel punto i genitori pensano che sottrarre Tony al contesto pratolano e peligno sia cosa giusta.
E la vita della famiglia si “spezza” davvero, perché loro, con il figlio, tornano in Germania; Giuseppe, il fratello minore, resta a vivere con la nonna in Abruzzo, insieme all’Autrice di questo racconto, che nel frattempo ha messo su famiglia, ha già una figlia e svolge con un certo successo la professione di parrucchiera. Si è sistemata a Bagnaturo, senza tuttavia disinteressarsi delle vicende del fratello “difficile”, bisognoso di attenzioni particolari, pur se da lontano.
Nonostante i problemi legati alla fonia delle sue corde vocali, Tony, cresciuto, è un bel ragazzo, che piace molto alle donne e in quel periodo non soltanto si invaghisce di una giovane tedesca ma decide anche di unirsi con lei in matrimonio. Un momento rasserenante, dice Iole: “lavorava e faceva una vita normale”. Che però nel breve volgere di qualche anno, anche per effetto della “dipendenza” alla quale era legata anche la moglie, scomparve. Mentre lui incominciò ad avere bisogno di risorse finanziarie sempre ripetute e continue, per procurarsi le sostanze stupefacenti e non si sottrasse ad un viaggio, insieme ad altri, in Olanda con l’unico scopo di procurarsi roba da spacciare.
Arriviamo così alla fine degli anni novanta quando Tony, persuaso dai genitori, decide di tornare a vivere con loro, anche perché incominciavano a manifestarsi a livello gastrico i fastidi che lo porteranno a morte.
Successivamente arriva anche il divorzio dalla donna che aveva sposato e la famiglia tenta l’impossibile per farlo sottoporre a periodi di disintossicazione. Ma non mancano contrasti e momenti davvero tragici, nei rapporti con i genitori; momenti nei quali, offuscato dall’astinenza, accoltella, addirittura, il padre Vicenzo, ferendolo, senza gravissime ed irreparabili conseguenze, ad una gamba.
(A mio parere è questa la sequenza che materializza “la vita” davvero “spezzata”).
Il resto è la conclusione di un’altra vicenda amorosa positiva, questa volta, che insieme all’affetto straziato di tutta la famiglia, conduce Tony (che nel frattempo si è fidanzato con una giovane donna, vedova, con due figli), alla fine dei suoi giorni, tra cure palliative e il “tormento” di non poter riavere con sé, in Germania, il figlio Vincenzo. affidato alle cure della madre Paola, in Italia, al termine di una significativa battaglia giudiziaria finalizzata a scongiurarne l’adozione presso una famiglia tedesca.
 
Contributi
Ho aperto questo veloce resoconto sul lavoro di Iole Cianfaglione, dicendo di aver letto uno “straziante” atto d’amore; e lo ribadisco. Non trovo un’altra aggettivazione utilizzabile. Un atto d’amore che va al di là dell’affetto tra sorella e fratello ma che si mette a servizio di quanti, nella società nella quale viviamo, ancora oggi afflitti dal contagio della droga (qui, da noi e altrove, dovunque), hanno bisogno di testimonianze e stimoli per riflettere sui guasti e sulle miserie alle quali conducono agenti di vita perversi, “mercanti di grandi oscurità” (come avvertiva dall’Argentina quello che oggi è il Papa della pace e del perdono), che da tempo hanno insozzato il mondo e chi ci vive e dai quali dobbiamo difendere i ragazzi, inutilmente “bravi”, come Tony.
Questo racconto lungo (poco più di cento pagine, editato da Jacopo Lupi, per i tipi di Amazon, scritto con un linguaggio “domestico”, comunque accattivante ed immediato) andrebbe portato all’attenzione delle giovani coppie e soprattutto dei ragazzi, fuori e dentro le scuole. E oggi che l’Abruzzo possiede un’azienda di film commission strutturata con denaro pubblico, a mio parere meriterebbe l’attenzione di quanti (uomini di cinema: soggettisti, registi, produttori) possano pensare di utilizzare il racconto di una storia vera, sul grande schermo, per far discutere e riflettere sui modi per rendere migliore il tempo che viviamo.
Pertanto, grazie, Iole; grazie per il coraggio e la semplicità con cui ci racconti questa vicenda che sembra “tua”, invece deve essere “nostra”. E se, per essa, crediamo di poterci e volerci migliorare.