Mondo Interventi
27 Gennaio 2025, 02:09
Il Giorno della Memoria
Ogni vita è degna di essere vissuta
Angelo Di Gennaro, psicoterapeuta
Il 27 gennaio 1945 le truppe dell’Armata Rossa, in marcia verso la Germania, entrarono nel campo di concentramento di Aushwitz, svelando al mondo intero le atrocità e i crimini che vi venivano perpetrati. La Giornata della Memoria, indetta per quel giorno dalla comunità internazionale, non è un semplice invito a non dimenticare, ma un forte incoraggiamento ad approfondire la nostra comprensione dell’Olocausto, capire come sia potuto accadere, e porre le basi perché non accada mai più. Il ruolo chiave giocato dagli psichiatri tedeschi nel promuovere, organizzare ed attuare l’Olocausto è stato riconosciuto dalla stessa associazione psichiatrica tedesca nel corso di un congresso tenuto a Berlino nel novembre del 2010, e poi comunicato al grande pubblico attraverso una mostra itinerante, nella quale si parlava di eugenetica, la teoria adottata da eminenti psichiatri tedeschi per dare un supporto pseudoscientifico al razzismo, validare lo sterminio di vite “non degne di essere vissute” e organizzare la “soluzione finale”. Nel pannello introduttivo della mostra si leggeva:
“Tra le vittime del nazionalsocialismo ci furono anche i malati psichici e i disabili, considerati un peso per il popolo tedesco. A partire dal 1934, 400.000 persone furono sterilizzate contro la loro volontà, e più di 200.000, ricoverate in ospedali e istituti di assistenza, furono assassinate. Tutto ciò avvenne all’interno della società tedesca, sotto la diretta responsabilità di psichiatri, neurologi, pediatri, infermieri e personale amministrativo. Anche nelle aree dell’Est Europa occupate dai tedeschi, decine di migliaia di pazienti polacchi e sovietici furono vittime di questi crimini. Numerose famiglie persero così i loro cari. Per molto tempo, dopo il 1945, fu steso un velo di silenzio su queste persecuzioni, anche in seno alle stesse famiglie colpite dai crimini. Alcuni responsabili e molti dei loro complici continuarono indisturbati la propria carriera nella Germania postbellica” [Società Tedesca di Psichiatria, Psicoterapia e Psicosomatica (DGPPN), in collaborazione con la Fondazione Memoriale per gli Ebrei Assassinati d’Europa e la Fondazione Topografia del Terrore, Berlino].
Nella Giornata della Memoria 2025, ricordo le parole di una paziente, che anni fa raccontava di sé: “Sono tormentata all’idea di quello che avrei potuto fare nella mia vita e non ho potuto: i libri che non ho letto, le mostre d’arte che non ho visitato, i viaggi che non ho fatto, gli spettacoli teatrali e musicali che ho perso, gli amici che non ho potuto farmi. Nemmeno adesso o in futuro potrò dedicarmi a queste attività che amavo, perché sono distrutta. Mi sento irrimediabilmente separata dagli altri, perché nessuno ha avuto un’esperienza tragica come la mia. La qualità della mia vita è stata distrutta. Sono come morta, ridotta quasi a un vegetale: mangio poco, dormo poco, spendo quasi tutta la giornata a letto, di notte ho gli incubi, di giorno sono divorata da indicibile angoscia e disperazione. Dopo aver tanto studiato per costruirmi una vita degna di essere vissuta e un avvenire, mi trovo solo macerie in mano. Ormai desidero solo la morte. Chiedo che i responsabili della totale distruzione della mia vita (persone e istituzioni) siano perseguiti a norma di legge e chiedo di essere adeguatamente risarcita. È come se fossi stata ad Auschwitz per venti anni. Non potete mettere un coperchio chimico sulla mia sofferenza”.
Dopo innumerevoli sedute di psicoterapia familiare prima e individuale dopo, la paziente, con l’impegnativo aiuto costante dell’équipe curante (psichiatra, psicologo, assistente sociale, infermiere), è gradualmente riuscita a sciogliere i nodi emotivo-comportamentali che la attanagliavano da tempo. Piano piano le è stato possibile distinguere le complesse traversie che la vita le ha posto dinnanzi, dalle modalità emotivamente contorte e spesso indecifrabili con le quali abitualmente affrontava la propria esistenza. La quale era contrassegnata da: malattia cronica invalidante, matrimonio disastroso alle spalle, grave incidente automobilistico, sofferta interruzione di gravidanza, attività lavorativa abbandonata per le numerose assenze ingiustificate, rapporti intra-familiari spinosissimi, ricoveri obbligatori in ambiente psichiatrico, notevole, quasi totale sfiducia nei professionisti e nelle istituzioni preposte alle cure sanitarie e psicologiche, ecc. ecc. Dopo molto tempo e notevoli energie messe in campo dalle diverse équipes curanti, che alternativamente si sono prese cura di lei, la paziente – laureata in filosofia con tesi sul pensiero di Tito Lucrezio Caro, e di intelligenza e sensibilità superiore alla media – ha abbandonato l’idea sia di perseguire a norma di legge medici e istituzioni varie, sia dei ricorrenti, provocatori propositi suicidari ed ha accettato, con fatica, una regolare terapia psicofarmacologica e psicologica.
Ora, la donna, non più giovane, vive nell’entroterra d’Abruzzo, in un piccolo paese di montagna. Abita in una minuscola e vecchia casetta lasciatale in eredità dai genitori, i quali si sono preoccupati di riservarle anche un piccolo patrimonio economico a sua tutela. Usufruisce di una modesta pensione di invalidità. È autonoma, nel senso che fa la spesa e cucina da sola, si occupa delle pulizie della casa e veste decorosamente. Ha rapporti decenti con i vicini e le vicine di casa, dalle quali riceve conforto e sostegno in caso di necessità. È affiancata da un amministratore di sostegno con il compito di controllare che le sue spese correnti, delle quali in passato non aveva piena contezza, non debordino oltre misura. Il fratello e la sorella le fanno visita periodicamente, anche al fine di soddisfare qualche sua richiesta specifica, di sapere come sta in salute e come se la cava da sola. Le visite domiciliari mensili dello psichiatra e dell’assistente sociale del Centro di Salute mentale di zona le permettono di mantenere un rapporto fiduciario con i curanti e col sistema sanitario. Attualmente, la terapia psicofarmacologica è ridotta al minimo dosaggio. La donna, che si è sempre distinta nella capacità di cogliere con esattezza millimetrica il significato più intimo delle parole e dei gesti dei suoi interlocutori, si rende conto che il contesto in cui vive oggi è contraddistinto da controllo da un lato, e protezione dall’altro. È ciò di cui ha bisogno. I pregiudizi verso se stessa, verso i professionisti e le istituzioni pubbliche che di lei si prendevano e si prendono cura insieme alla famiglia residuale, sono ormai lontani. Le lunghe e lente passeggiate dentro e fuori paese le consentono di rilassarsi e di pensare con una certa serenità al futuro che le resta da vivere. [V. anche Il Pre-giudizio – Una forma di disabilità culturale collettiva, pubblicato su queste pagine il 27 aprile 2016].