Abruzzo Ambiente
3 Novembre 2024, 09:49
Allevatori, Orso marsicano e Lupo appenninico
Franco Zunino (Segretario Generale Wilderness)
A Roma, lo scorso 30 ottobre, si è tenuta una manifestazione degli allevatori abruzzesi e laziali di protesta per il disinteresse verso la loro categoria e i problemi che le autorità (Ministero dell’Ambiente, Regioni e Parco Nazionale d’Abruzzo) da anni (ma sarebbe più corretto dire, da decenni!) non risolvono, ed anzi, con la scusante di difendere l’Orso marsicano e il Lupo appenninico, hanno sempre più aggravato ledendo i loro diritti: non solo e tanto di allevatori, quanto, soprattutto, di cittadini! E questo in un Paese che si vanta di essere democratico! Ignorando però che la democrazia giusta è quella dove i diritti della società non ledono o, peggio, calpestano, i diritti del singolo cittadino; e dove se il singolo cittadino subisce dei danni a causa delle norme sociali, la società glieli riconosce e glieli ristora. Altrimenti è una democrazia malata o, almeno, incompiuta! Ecco, nei tre passaggi che qui di seguito si riportano, le lamentele e le richieste degli allevatori come dagli stessi espresse in un loro ben più ampio comunicato stampa, che non si può che condividere, pur essendo anche noi, convinti sostenitori dell’importanza di difendere l’Orso marsicano e il Lupo appenninico:
«Dialogando con i funzionari del gabinetto del Ministro Pichetto Fratin, l’Antropologo Dario Novellino dell’University College di Londra (UCL) – che da quasi 20 lavora fianco a fianco con gli allevatori – ha voluto evidenziare la totale mancanza di processi partecipativi dal basso atti a coinvolgere la gente del territorio, in primis allevatori e agricoltori, nella co-gestione delle risorse naturali. Il Parco, afferma Novellino, dovrebbe fare tesoro dell’enorme bagaglio di conoscenze tradizionali possedute dagli allevatori ma, troppo spesso, sottovaluta ciò che, invece, è palesemente citato nell’articolo 11 (sez. h, 2-bis) della legge 394/91 e che richiama alla valorizzazione degli usi, dei costumi, delle consuetudini e delle attività tradizionali delle popolazioni residenti sul territorio, nonché delle espressioni culturali proprie e caratteristiche dell’identità delle comunità locali. Dopo anni di esclusione da qualsiasi processo decisionale, dice Novellino “bisogna riportare gli allevatori al centro della questione ambientale per una gestione lungimirante delle aree interne”. Non dobbiamo inventarci nulla di nuovo, sostiene l’antropologo, bisognerebbe, semplicemente, mettere in atto alcuni principi fondamentali, già patrimonio indissolubile del nostro ordinamento giuridico. Ad esempio la Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), firmata da 150 governi e ratificata dall’Italia con legge no. 124 del 14 Feb. 1994, parla espressamente “della necessita di assicurare alle popolazioni e comunità locali le piena partecipazione ai benefici che derivano dall’uso delle loro conoscenze tradizionali e delle pratiche correlate alla conservazione della biodiversità. Invece la Convenzione dell’UNESCO sulla Promozione e Protezione della Diversità Culturale, ratificata anche questa dall’Italia il 31-01-2007 riconosce “la necessita di adottare misure volte a proteggere la diversità delle espressioni culturali, soprattutto quando queste possano essere minacciate”. Lo stesso UNESCO, nel 2019, ha inserito la transumanza nella lista del patrimonio culturale immateriale, e non per ultimo l’organizzazione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) – a cui l’intero mondo ambientalista dovrebbe fare riferimento “promuove una conservazione degli ecosistemi che sappia coniare equità sociale e sostenibilità ecologica, promuovendo ‘capacity building’ delle popolazioni locali per la co-gestione delle risorse naturali. Ripensare alla gestione del Parco, tenendo in considerazione tutto questo, sarebbe già un enorme passo in avanti.»
«Gli allevatori si sono anche lamentati del fatto che, troppo spesso, il PNALM non riconosca i danni da fauna selvatica causati al bestiame e non proceda ad elargire i relativi indennizzi. L’Ente paga gli indennizzi sulle predazioni soltanto quando la carcassa è stata ritrovata ma, troppo spesso, vengono tirate in ballo tutta una serie di condizionalità e cavilli burocratici pur di non risarcire gli allevatori delle perdite subite. La tendenza, infatti, è quella di voler associare il pagamento dei danni a determinate condizionalità (ad esempio l’assenza di una concimaia a norma), ovvero di un deposito per lo stallatico che risulta alquanto inutile per allevatori estensivi che allevano il loro bestiame allo stato brado e semi-brado. Associare il pagamento degli indennizzi a queste condizionalità non solo è una scelta arbitraria ma è soprattutto una violazione della Legge Quadro sulle Aree Protette (394/91) che al comma 3 e 4 recita che l’Ente Parco è tenuto a indennizzare i danni provocati dalla fauna selvatica del parco e stabilisce le modalità per la liquidazione e la corresponsione degli indennizzi, da corrispondersi entro novanta giorni. Va comunque specificato che ciò che gli allevatori richiedono, non sono solo indennizzi economici, ma la tranquillità di poter pascolare il proprio bestiame come hanno fatto per decenni, senza dover fare, giorno dopo giorno, la macabra conta degli animali predati. “I nostri animali predati muoiono con sofferenze atroci, e a noi non resta che farci il segno della croce, nella speranza che il giorno seguente non succeda la stessa cosa” afferma un pastore di pecore del PNLM che, a partire da questa primavera, ha visto il suo gregge ridursi da quasi una novantina di animali a circa una sessantina, a causa delle predazioni. Spesso, le migliori fattrici (mucche, cavalli) sono vittime di tali attacchi, e questo compromette la continuità degli allevamenti estensivi, costringendo i pastori ad optare per modelli allevatoriali maggiormente orientati verso una stabulazione fissa.»
«Nella parte conclusiva dell’incontro Giuseppe Tatangelo, pienamente supportato dagli allevatori presenti, ha voluto manifestare ai funzionari del Ministero il profondo e deciso dissenso in merito alla scelta di rinominare a Direttore del PNALM il Dott. Luciano Sammarone. Infatti, gli allevatori ritengono che, durante l’espletamento della sua carica, il Direttore – invece di assolvere un ruolo di pacificatore e mediatore tra l’Ente Parco e gli attori locali – abbia invece esasperato il clima di conflitto sociale, creando estremo malumore e malcontento tra gli operatori del mondo allevatoriale.»