Toponomi scomparsi a Cocullo
RUA PACCHIAROTTA

Il castello costruito precedentemente sul colle che domina la Valle del Pezzana, poi restaurato dai Piccolomini nel 1585, forse rifugio per Alfonso duca di Montemarciano, fu frequentato da personaggi equivoci: il ricordo va immediatamente a Pacchiarotto, uno degli uomini di fiducia al servizio di Marco Sciarra, amico dell’Alfonso su citato, che con altri “bravi” scorrazzava anche nella nostra contea facendo il bello ed il cattivo tempo.
La rua che prese il nome da Pacchiarotto, costituiva un facile collegamento tra il feudo e la parte principale del castello.
Nei documenti conservati nell’Archivio comunale di Cocullo affiorano non pochi riferimenti ad un viottolo con chiare allusioni a quel nome: non per niente la stradina, dalla quale più velocemente si poteva fuggire o entrare per accedere alla rocca, era popolata nel Basso Medioevo da interi “fuochi”: i Ritella, i Sanzi, i Lisciotti, i Marchione, i Colucci, i Marinilli, gli Osola, i Clemente, i Simonella, che vivevano dentro locali spesso angusti e abitati da più famiglie: nonni, genitori con figli sposati e nipoti che dimoravano in piccoli ambienti con un’entrata e ai lati due, tre porte e tante scale con pianerottoli su cui si affacciavano altre due o tre porte…
Anche in quella rua e nelle limitrofe fervevano le attività dei merciaioli, delle filatrici, dei pezzaioli, dei venditori di chincaglie, dei pastori… Convivevano con ebrei, con qualche persona dei paesi vicini coniugata e integrata con quella che rappresentava una parte della comunità del feudo…
Gli Stati delle Anime del 1631, conservati almeno fino ad un mezzo secolo fa nella  Parrocchia della chiesa di San Nicola e da me consultati, accertano tali presenze in quel tempo.
Nel ‘700 Antonio Marchione  abitava nella rua Pacchiarotta con il figlio Domenico, la moglie di costui Domenica Sanzi, con i fratelli Giacomo, Luca, Berardino, Alessandra e i figli di questi Loreto con la moglie Marta Risii ed i figli di Loreto Paolo e Rosaria . Così Pietro Marchione ed il fratello Stefano, con le rispettive famiglie che si incontravano con gli Osola, con i Clemente, i Gentile, i Mascioli, i Panecaldo (Domenico con la moglie Lucrezia di Cola Marchione); e lì, proprio lì, in quella rua si affacciava, all’altezza del “Montanaro”, la casa di quest’ultimo nucleo, cioè dei Panecaldo, casa che ora è solamente un rudere. Sì, un rudere che nasconde una storia lontana: lì, fino a mezzo secolo fa – ricordo – si poteva accedere sia scendendo proprio dalla rua Pacchiarotta sia risalendo dalle due viuzze che si incrociano sopra al “Montanaro”, venendo dalla casa di Giuseppe Clemente e Lucrezia Marchione, casa restaurata ed oggi in ottimo stato e in una posizione favorevole per l’osservazione e la guardia della sottostante convalle (Aravecchia, Fonte Nuova).
Ancora nell’Ottocento si registra la presenza di famiglie; riporto solo alcuni dati: nel 1813, il 28 ottobre, al n. 33 del faldone  contenente le generalità dei defunti, a “rua de Pacchiarotti” risulta che morì  Massima Sanzi, a. 36, filatrice, fu Giacomo e fu Giuseppa Biasetti; nel 1815, l’8 maggio, il Sindaco Gianfrancesco Gentile registrava la morte di Giandomenico Gentile, bracciale, in “Rua di Pacchiarotti”.
Tornando alla zona del “Montanaro”, un grosso blocco di pietra era alla base di una parte di quella abitazione dei Panecaldo: era protetta da un arco altrettanto interessante ed imponente, che dominava l’ingresso. Quel blocco raccontava – e forse racconterebbe ancora al turista
che vagasse per vedere le bellezze di un borgo – la storia dell’antica rocca definita tale dal geografo greco Strabone: era un prezioso, importante testimone delle origini antiche del nostro paesello che, come afferma il Wonterghem, ha un passato di oltre duemila anni, paese che addirittura affonderebbe le radici nella preistoria.
L’oblio e la disattenzione secolari hanno coperto di nebbia quel passato: oggi la strada sbarrata vieta di riscoprire ciò che vi resta, la vegetazione selvaggia preclude ogni possibilità di accesso per ammirare (se c’è ancora) quel documento lapideo. E le finestrine quattro-cinquecentesche che si affacciano nei pressi? E’ un vero peccato se cadranno quei muri, custodi anche loro di segreti, che attestano un passato di memorie che Cocullo deve rivendicare a sé stesso, a chi lo visita e ne può ammirare scorci di vita vissuta.

Le foto di casa Panecaldo: 1- come era fino a 50 anni fa; come si vedeva qualche decennio dopo; 3- come è …oggi  (sotto una boscaglia)