Racconti di politica interiore

CRISI ASMATICHE E DOMANDE SOSPESE

L’utilità di interrogarsi sul come organizzare la vita

Lampo, di solito caciarone e attento soltanto durante la lezione di geografia, fu il primo a notare che Simone aveva difficoltà respiratorie quando gli oggetti non venivano messi nella giusta, per lui, posizione. Per esempio, se per segnare la porta dell’improvvisato campo di calcio gli amici poggiavano per terra le felpe o i maglioni, Simone, affannato, andava alla ricerca di quattro pezzi di legno adatti alla loro sostituzione. Se i legni non venivano poggiati a terra con precisione millimetrica, Simone non riusciva più a respirare. Stava meglio se qualcuno seguiva le sue indicazioni. Stava peggio, presentava ansia e apprensione se altri, invece, lo mandavano a quel paese. Grazie all’acume di Lampo si andava profilando piano piano il significato del suo bisogno di ordine e di precisione nel fare le cose. Una volta Lampo, che si era guadagnato questo soprannome fulminante sin da piccolo, fu veramente geniale. Non si sa per quale motivo, un pomeriggio accompagnò l’amico a casa. Notò che nel preparare la merenda, sua madre tagliò le fette di pane soltanto dopo averle segnate con un lapis centimetro dopo centimetro e aver pesato il prosciutto cotto che per ogni doppia fetta non doveva superare venticinque grammi. Quando Lampo subdolamente domandò alla donna se invece del prosciutto potesse avere del formaggio, Simone incominciò ad ansimare, le mani gli tremavano, non riusciva a tenere la bik tra le dita, balbettava quasi. Lampo capì e si accontentò del prosciutto cotto. Comprese anche che il suo amico non poteva sottrarsi alle regole che la madre aveva inventato per lui, per il suo bene, come sosteneva lei. Nei giorni seguenti Lampo capì altre cose, come per esempio quando entrò in casa di Simone con le scarpe bagnate e sporche di fango. Mentre la madre non smetteva di osservare i piedi dell’amico, Simone respirava affannosamente e tossiva. Il respiro stava per bloccarsi. Lampo decise di andar via. Con la coda dell’occhio, si accorse però che Simone già stava meglio. O quando, un’altra volta, il padre di Simone entrò in casa appendendo distrattamente la giacca sul lato sinistro anziché destro dell’appendiabiti. La moglie attizzò una discussione senza fine, che andò avanti per ore, fino a quando Simone non crollò sul pavimento per la mancanza d’aria. Insomma, Lampo comprese che le crisi asmatiche di Simone, così come il suo ordine ossessivo, erano legate alle dinamiche famigliari delle quali, allora, non seppe dire di più, se non che l’amico, con le sue crisi, tentava di controllare il comportamento dei genitori e, generosamente, di evitare il peggio.
    Simone e Lampo andavano d’amore e d’accordo. Stavano sempre insieme come le pigne appena nate. Lampo conosceva Simone come le sue tasche ormai. Quando Simone incominciava a tossire leggermente significava che qualcosa o qualcuno aveva turbato il suo ordine fisico o mentale. Poteva trattarsi di un oggetto o una parola fuori posto, qualcosa che gli ricordava immediatamente le regole che sua madre aveva imposto in casa e che Simone viveva ormai come sue. La sua vita era organizzata intorno a tali regole, che man mano erano diventate una specie di gabbia invisibile, una prigione, dalla quale Simone non sapeva come uscire. Anzi, bisognava uscirne? Simone non ne era così sicuro. Che cosa avrebbe trovato fuori da quelle regole? E poi, quali nuove regole andare a cercare? C’è che Simone non riusciva a mettere in correlazione la sua asma con le regole che la famiglia si era date, né, tanto meno, a modificare queste ultime; neppure si rendeva conto del significato e dei riflessi del proprio comportamento quotidiano, così disturbante e incomprensibile per chi, fuori di casa sua, doveva rapportarsi con lui.
     Arrivò il giorno in cui avvenne una cosa strana e grave, che avrebbe messo i genitori di Simone di fronte al bivio se farlo curare o no, se rivolgersi a uno psichiatra o a uno psicologo. La cosa inaspettata e imprevista fu che, in quel periodo, durante la lezione di geografia fisica, il prof. pose la questione se le montagne avessero una loro vita e se, concettualmente, valesse la pena di prendere in considerazione anche la loro morte. L’intera classe mostrò segni di smarrimento e di paura. Non Simone, che con la morte aveva ormai stabilito un rapporto se non di conoscenza profonda, almeno di reciproca stima, perché, a ben vedere, l’uno dava vita all’altra. Fu l’unico studente a mostrarsi sereno e in grado di spendere due parole sull’argomento. «Secondo me – esordì coraggiosamente – le montagne moriranno eccome! Ma questo non impedirà alle persone, se lo vorranno, adesso, di godere della loro esistenza, delle loro imperfezioni, le gobbe, le punte, le morene, le “gravàre”, i falsi altipiani, i terreni dirupati, accidentati e scivolosi, difficili da scalare e alquanto rischiosi d’inverno».
     Il prof. e gli altri studenti rimasero senza parole. Lampo rimase annichilito dalle concise, ficcanti ed elaborate considerazioni di Simone: per la prima volta si sentì inferiore al compagno, sempre così delicato di salute e perennemente in bilico tra la vita e la morte. La decisione fu presa seduta stante, la classe intera si sarebbe recata al Colle di Sant’Egidio, per riflettere sul cosiddetto “lago del cuore”: «per me – se ne uscì anticipatamente Simone – il lago non ha la forma del cuore, si tratta soltanto di un punto di vista, per altro assai discutibile, dell’osservatore». La classe tacque. «Gli albergatori, i commercianti e coloro che vivono di turismo – proseguì, convinto, Simone, il quale, dentro di sé, pensava anche alla propria famiglia – hanno tutto l’interesse a sostenere quest’idea che, però, non ha alcun riscontro con la realtà». La classe tacque. 
    Il capo-spedizione di quella gita salutare ed esplorativa, sarebbe stato Simone, Lampo il suo assistente. Il prof. si sarebbe limitato: a gestire i rapporti coi genitori; ad informare i dirigenti scolastici di Sulmona; e, dati i precedenti, ad allertare le autorità socio-sanitarie locali e l’elisoccorso dell’ospedale dell’Aquila. La data fu fissata al ventotto di ottobre duemila e ventiquattro, festa di due Santi e due Apostoli di Cristo, entrambi martiri del Vangelo: San Simone detto lo “Zelota” e San Giuda Taddeo.