IL BEATO DOMENICO E PADRE DOMENICO DI COCULLO

Una delle fonti più credibili, la Cronaca del Monastero di Montecassino, parla più volte di un “beato Domenico” abbastanza riferibile a San Domenico di Sora che, secondo il famoso medioevalista Giorgio Picasso, è il riformatore ecclesiastico che ebbe nell’Italia centrale numerosi seguaci attorno al Mille. E’ superfluo ricordare che il monaco aveva ricevuto una solida formazione perfezionata nel monastero di Montecassino, fucina di prestigiosi ecclesiastici. Certamente non fu solida, la formazione, come quella che ebbe otto secoli dopo, padre Domenico di Cocullo che ne evocò il nome vestendo il saio francescano. Per introdurre la figura di Don Giambattista Gentile, alias Padre Domenico di Cocullo, riporto un brano di un saggio da me pubblicato sulla Rivista “Il Gazzettino della Valle del Sagittario” il 19 aprile 2022.

Non era più, il 1800, il tempo degli eremiti e neanche dei penitenti, i quali avevano estrinsecato le esigenze spirituali in maniera molto rozza.
Don Giambattista  era un personaggio di rilievo. Non ebbe un carattere facile e, quando nacque, la società della Penisola era in fermento. In questo scenario vide la luce il 10 aprile 1800, generato dal magnifico don Evangelista e da donna Cleofe Renzi ed ebbe un’adolescenza felice nel grembo di una famiglia agiata e fu molto intelligente e studioso; non poteva non rivelarsi una persona di caratura notevole per cultura e personalità, ma, come ho scritto, il carattere si uniformò presto al periodo in cui visse e la gioventù fu movimentata: ancora studente, in seguito ad una “colluttazione” con un coetaneo (di questo fece cenno De Nino, illustre studioso e storico peligno, 1833-1907: ”…a meno di vent’anni, quando stava per lasciare il collegio di L’Aquila, fu coinvolto in un fatto causato dall’amore per una graziosa giovinetta, che lo portò a una grave colluttazione con un rivale, fatto che all’epoca suscitò scalpore divenendo generalmente noto”). Andò a farsi monaco prendendo il nome di Padre Domenico di Cocullo nell’Ordine cappuccino ove fece una brillante carriera in tre lustri.
Da ragazzotto, quindi, pur appartenendo ad una buona famiglia ma conservando lui il carattere spigoloso, aveva meditato di coltivare lo spirito e su quale ordine religioso dovesse entrare. Una ragazza era stata la causa involontaria perché lui, già sufficientemente erudito, potesse individuare l’Ordine che gli era più congeniale: si affiliò all’Ordine più rispettoso e più rigido del Cattolicesimo (cosa che rivela una buona formazione culturale). Quindi la gelosia, che era degenerata in una colluttazione con un altro pretendente, lo aveva indotto a praticare il monachesimo più povero: era entrato in un convento francescano pur coltivando lo spirito dei futuri Spirituali . Dismise il nome di Giambattista (come avrebbe voluto l’anagrafe), salvo poi a riassumerlo allorché ridivenne borghese e poi ancora religioso, ma non monaco bensì Canonico (clero secolare) nella Cattedrale di Pentima.
Nel dicembre 1798 Ferdinando IV, re di Napoli, aveva lanciato un proclama ai sudditi in cui esaltava il loro valore e li invitava a difendere il Trono. Nel mese di febbraio 1799 il cardinal Ruffo, acceso sanfedista, era sbarcato in Calabria con pochi uomini per organizzare la resistenza borbonica; ma la forza di cui disponeva era esigua e questo gli suggerì di reclutare altri giovani. A Cocullo, mentre l’arciprete Don Giovanni Arcieri prima riceveva Pronio – capo borbonico di Introdacqua - in casa, poi esponeva i ritratti dei reali nella chiesa parrocchiale di San Domenico, facendo suonare le campane a martello allorché arrivarono i Francesi, che poi saccheggiarono il paese, Don Leonardo Gentile, di famiglia nobile (era conte di Aschi), girava per il paese esortando i giovani ad arruolarsi nelle masse dell’Introdacquese, mentre il figlio di Leonardo, Fortunato, combatteva contro gli invasori accanto a Pronio sull’Adriatico e a Sulmona.
L’8 marzo 1807 un altro Domenico Gentile fu arrestato dalle autorità insieme all’arciprete (allora ambedue ex borbonici). Mentre il primo venne definito “ un Brigante del 1799, uomo violento e facinoroso, ossia Reo di vie di fatto, e fondatamente sospetto degli altri delitti maggiori ond’è prevenuto”(come se questo non bastasse due donne del paese lo avevano accusato di offese alla persona); il secondo, come ho letto in una vecchia deliberazione del locale Municipio, trattò da ignoranti, facendoli addirittura piangere, i membri della Confraternita di San Domenico allorché quelli andarono a richiedergli la copia della chiave (che a loro spettava) della cassaforte, conservata nella chiesa del Patrono.
Qualche anno dopo il cappuccino cocullese fu apprezzato da ecclesiastici “di rango” e già a 22 anni era “convisitatore” del cardinal Micara; un anno prima Padre Domenico aveva vinto il concorso di Lettore di Filosofia e poi ebbe l’incarico di insegnare all’Università napoletana: lo fece volentieri impartendo lezioni in modo che fossero “poco conformi alla dottrina clericale ed improntate ad ampi e laici orizzonti, assai audaci per l’ambiente e i tempi” (dottor Pierluigi Franco). A 29 anni il Gentile ottenne la nomina a Lettore di Sacra Teologia e subito dopo a Definitore dell’Ordine: “…fu quello il primo esempio di una dignità monacale così eminente concessa ad un padre lettore di 29 anni” (De Nino). Un paio di anni più tardi l’insigne cocullese fu nominato, a Napoli, educatore e predicatore di Corte. Alla fine del 1833 arrivò nella città vesuviana il Definitore Generale, che in tal qualità, quindi, era immediatamente superiore al Francescano cocullese. Quest’ultimo, facendo parte della Corte, vi aveva l’alloggio e perciò il protocollo voleva che i due s’incontrassero lì; il superiore gerarchico andò a visitare il probabile successore cocullese, ma prima di accedere nella stanza di quello fece una lunga anticamera; la qual cosa generò il risentimento del dignitario che, dopo uno scambio di battute polemiche con padre Domenico, fu messo alla porta. Per cui quello, adirato, riferì ciò che era avvenuto al papa, ed in seguito a questo incidente al religioso cocullese fu interdetta la predicazione nel Regno di Napoli…

Quindi, abbandonato il saio francescano, don Giambattista morì a Pentima dove officiava come canonico nel 1863 e senz’altro è da credere che il nome Domenico a corredo del saio non era stato preso a caso, in quanto don Giambattista manifestò uno spirito schietto, a costo di apparire ribelle, radicato nella tradizione evangelica.  Allora il Cristianesimo era nato da mille anni: era il tempo della confusione delle idee e degli scismi. Aveva cercato un riparo alla situazione Gregorio VII con la famosa Riforma, la quale portò alla necessità di ripulire il filtro semiotturato dalle stranezze del basso clero e soprattutto la costruzione di un edificio che assicurasse la permanenza dell’istituzione ecclesiastica e dell’organizzazione dell’alto clero. La politica di quei secoli tollerò l’esistenza del binomio religione-tradizioni pagane e questa situazione si perpetuò per tre-quattro secoli, malgrado l’ammonimento di Sant’Agostino che gradiva la consacrazione dei “boschi sacri” (ex pagani). Però questo suggerimento turbò gli animi di alcuni teologi fino alla fine del 1200, quando un monaco molisano, ricalcando le orme di San Domenico, tentò di riportare la Chiesa al rigore dei primordi, malgrado il progetto avrebbe potuto comportare uno scisma, poiché San Celestino (questo era il nome di Pietro Angelerio, molisano), ancora da semplice monaco, aveva già un seguito notevolissimo.
Erano trascorsi secoli e ogni tanto qualche imperatore pagano aveva considerato ancora la religione cristiana un progetto sovversivo contro le istituzioni: le folle smarrite riparavano nei boschi, ormai non più sacri e riemergevano di tanto in tanto guardandosi smarrite; la Chiesa cercava di organizzarsi e le scorrerie dei Saraceni facevano il resto. La Chiesa titubante si aggrappava sempre più disperatamente alla speranza di creare una salda organizzazione societaria. Si giunse così alla rocambolesca e burrascosa vicenda della scelta di un monaco che avesse i requisiti per consacrare un papa “pastor angelicus”. Bonifacio VIII fu più lungimirante, teologicamente e giuridicamente illuminato del puro ma intransigente Pietro del Morrone, alias papa Celestino V (questi già dal nome prescelto nel pontificato aveva dimostrato di voler accentuare il rigore di un suo predecessore, Celestino III, nel solco della visione evangelica). Comunque il compromesso voluto dal successore Bonifacio VIII determinò la svolta di un adattamento religioso alla nuova società ricorrendo però alla collaborazione dei monaci francescani dell’Ordine Minorita. Infatti San Francesco sottolineò nella sua Regola la prescrizione di vivere in povertà ma in uno stato che permettesse ai monaci di fare carità (precetto che colpì molti esponenti religiosi, tra cui Domenico da Guzman, domenicano, il quale aveva visto nel rispetto di quel canone la prospettiva per raggiungere la spiritualità cristiana).

Padre Domenico di Cocullo era morto circa trentacinque-trentasei anni prima che il  fotografo inglese Ashby riproducesse una storica immagine della processione di San Domenico di Foligno nel 1909: in quella foto è ripresa la processione, in cui compaiono le statue del pantheon religioso cocullese. Il corteo si apriva con la statua di Sant’Egidio, Santo che evoca l’intitolazione di Saint Gilles, la cui chiesetta forse sorgeva entro le mura occidentali del paese, a pochissimi metri di distanza dall’hospitale di Sant’Antonio Abate posto subito fuori le mura.
Il cervello di padre Domenico parve trasformarsi in una massa vorticosa in cui confluirono e si diluirono le memorie avite, la sua poderosa formazione culturale e spirituale, le storie parallele di Saint Gilles e Sant’Antonio Abate, gli Antoniani e gli Ospedalieri a cui Clemente V aveva trasferito nel 1313 parte del tesoro dei Templari, la cattedra dell’Abate folignate, la conflittualità milletrecentesca dei paesani, il canone della carità e la devozione alla Chiesa ufficiale prescritti dal Santo di Assisi.
Se la cerimonia si svolgeva allo stesso modo al tempo di Padre Domenico, spirito liberale stretto nella morsa fra il più puro cattolicesimo e lo stato confessionale borbonico, allora questa foto è importante perché testimonia  nella sagra paesana tradizionale la fiamma religiosa rinfocolata dal binomio S. Egidio-S. Domenico: era stato accettato così il compromesso di Bonifacio , compromesso certificato anche dalla presenza di numerose reliquie francescane, nel 1983, dal parroco di allora don Adolfo Angelucci, a cominciare dalla reliquia della beata Angela da Foligno…; è altresì noto che il papa Bonifacio VIII aveva voluto la collaborazione dei Francescani Minoriti per attuare la svolta verso l’evoluzione della società milletrecentesca.