GIORNATA MONDIALE DELLA SALUTE MENTALE

La libertà è terapeutica

Oggi si celebra la Giornata Mondiale della Salute Mentale. Senza farne necessariamente un santino, benché recentemente gli sia stato dedicato meritevolmente un francobollo, voglio ricordare in primo luogo lo psichiatra Franco Basaglia, direttore dei manicomi di Gorizia (1961-1968), Parma (1968-1970), Trieste (1970-1979). Egli fu definito “disobbediente”, perché studiando l’antropologia fenomenologica di Binswanger, da cui raccolse il dato essenziale della necessità di un’abolizione della distinzione normativa sano/malato della psichiatria positivista, rovesciò la nozione di “norma”, tanto cara alla psichiatria ufficiale. Fu definito “antipsichiatra”, per aver determinato una trasformazione che toccò le più alte istanze istituzionali, il Parlamento anzitutto, con la legge 180 del 1978. E poi “ideologo”, da chi non riconosceva quanto fosse scientifica la sfida di non accettare risposte preformate e costruire ciò che avremmo poi chiamato sapere pratico. E poi “filantropo”, da chi vedeva solo l’immagine fisica della chiusura dei manicomi e dell’abbattimento dei muri di cinta (non è stato certamente poco) e non accettava la questione posta da Basaglia che non aveva al centro il manicomio e basta, ma la stessa ideologia e cultura psichiatrica. E poi “antiterapeuta”, mentre Basaglia sosteneva che per essere davvero terapeutico, il rapporto deve aprirsi all’interno di uno spazio in cui ogni risposta preformata, ogni pregiudizio terapeutico (mi verrebbe da dire: ogni dittatura del pregiudizio) doveva essere messo tra parentesi, perché solo in questo modo il malato sarà libero e sarà possibile incontrarlo su un piano di libertà. E poi “intellettuale”, perché unitamente a Foucault e numerosi altri filosofi stabilì nuovi paradigmi, sia scientifici che clinici, per la cura dei cosiddetti “matti”: abbandonò il paradigma del grande internamento per un approccio “territoriale” e contestualizzato; criticò il mito della incurabilità e della cronicità, per sperimentare l’efficacia di una cura fondata sul mantenimento dei legami sociali. E poi “creativo”, dove per Basaglia l’immaginazione e la creatività erano uno strumento mentale per un percorso di incessante verifica dei rapporti umani concreti, soprattutto quando essi si realizzano in situazioni cristallizzate, in cui il dislivello di potere e di sapere è dato come naturale, come indiscutibile. E, infine, “utopico”, quando per lui utopia significava non arrendersi alle cose così come sono e lottare per come dovrebbero essere; sapere che il mondo ha bisogno di essere cambiato e riscattato. Un’utopia dà senso alla vita, perché esige, oltre ogni verosimiglianza, che la vita abbia un senso. Un’utopia o, meglio, una carica utopica che deve continuamente fare i conti con nuovi dati… e masticare informazioni che qualche volta le vanno per traverso (Calvino, 1974: Quale utopia?).
in secondo luogo, ricordo la figura, non meno importante, almeno per me, del maestro elementare di Scanno, Umberto Berardi. Il quale, tra gli anni ‘50 e ’60 del secolo scorso fu costretto, da “innocente”, nel manicomio di Collemaggio a L’Aquila. Dico da innocente, perché probabilmente gli rimaneva difficile controllare le proprie emozioni, forse mostrava di soffrire di manie di persecuzione, non è da escludere che il suo pensiero si presentasse a volte bizzarro e scoordinato e talvolta avesse minacciato colleghi, maestri elementari anch’essi, di atti violenti e distruttivi, considerandoli artefici di avergli usurpato “il posto di lavoro che gli spettava di diritto”. Per questi motivi e forse perché ritenuto “pericoloso per sé e per gli altri”, o perché motivo di “pubblico scandalo” – come recitava la legge sugli “alienati e i manicomi”, di cui si dotò il Regno d’Italia nel 1904 su proposta di legge di Giovanni Giolitti – fu ricoverato in manicomio per 12 anni, 1 mese e 6 giorni: i manicomi, come è noto, divennero l’istituzione preposta al controllo non solo di chi soffriva di disturbi psichici, ma anche di tutti gli altri soggetti deboli e degli emarginati sociali.
Il maestro di scuola elementare, Umberto Berardi, figlio di emigrante, non era però soltanto o principalmente un malato di mente, come si è voluto univocamente rappresentare. Era anche e soprattutto una persona di intelligenza viva e articolata, che sapeva adeguatamente e lucidamente affrontare domande ed obiezioni con risposte pronte e circostanziate. Le sue difficoltà di ordine sociale, prima ancora che psichiatriche, avevano a che vedere con la sua richiesta – secondo altri, pretesa – di poter insegnare nelle scuole elementari, compito per il quale sentiva, come egli spesso ripeteva, di “essere nato”. Tutti gli ostacoli che venivano frapposti al raggiungimento di tale obiettivo, Umberto li viveva come manovre “contro” di lui e non facevano altro che esacerbare il suo comportamento, abitualmente tranquillo e gentile. Tutto ciò, inoltre, avveniva da un lato mentre la Costituzione appena approvata affermava il principio che “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”; dall’altro, mentre il clima da “guerra fredda” influenzava la dura contrapposizione tra democristiani e comunisti, tra i quali si considerava il maestro Berardi.
“Stiamo cambiando l’Italia” afferma Giorgia Meloni in uno dei suoi ultimi spot. Già, ma in quale direzione? In Commissione Affari Sociali del Senato sono arrivati due ddl di Lega e Fratelli d’Italia in tema di trattamento della salute mentale che secondo le opposizioni “stravolgerebbero, peggiorandola, la legge 180”, una legge di civiltà e democrazia. Franco Basaglia e Umberto Berardi certamente si sarebbero opposti a tali decreti-legge. I quali, piuttosto che avanti, riporterebbero indietro di molti anni le condizioni di cura di chi soffre di disturbi mentali, ripristinando così un clima di stretta securitaria, di controllo sociale e di lotta al dissenso, come stiamo vedendo in questi giorni.