Elzeviri
24 Agosto 2025
Papa Celestino V e la Perdonanza
Nino Chiocchio
Era nato a Sant'Angelo Limosano negli anni 1209/1210 e morì in una cella del castello di Fumone nel 1296. Era venuto alla luce con la scorza dell’Eremita. Studiò nell’Abbazia di Faifoli. Peregrinò in Abruzzo, e dopo aver sostato nel Monastero di San Pietro Avellana, fondato dal nostro Patrono, come se avesse voluto calcare le orme di San Domenico, venne direttamente da queste parti, ove, alla base della Maiella, sul tempio di Ercole Curino presso Sulmona, fondò la Casa Madre dei Fratelli dello Spirito Santo. Si barcamenò fra Basiliani (contemplazione) e Benedettini (“ora et labora”), ma la sua preferenza andò all’eremo, dato che lui era acceso da una forte spiritualità radicata nell’animo: fu un asceta molto rigoroso e portò un forte contributo alla riforma gregoriana. Fu molto vicino alla dottrina di Gioacchino da Fiore per l’interpretazione rigorosamente evangelica del Cristianesimo e, una volta eletto pontefice, avrebbe protetto i suoi Spirituali insieme ad una frangia di Francescani Spirituali. Fondò una congregazione di eremiti nel 1264 (congregazione incorporata poi nell'Ordine Benedettino da Urbano IV e in seguito confermata da Gregorio X nel 1275 con il nome di Congregazione dei Celestini ma non più dei Fratelli dello Spirito Santo).
Alla fine del 1273 era partito con due confratelli diretto a Lione, dove si teneva il Concilio: nella città francese era arrivato dopo cinque mesi, accolto e ospitato per un paio di mesi onorevolmente dai Templari, in attesa che fosse presentato ai membri del Concilio del 1274; vi era andato per far riconoscere la sua congregazione presso Gregorio X contro la minaccia di scioglimento. Intanto i cardinali, riuniti in Concistoro, non si decidevano ad eleggere il nuovo papa dopo la morte di Nicolò IV (1292).
La lunga vacanza del papato terminò con l’elezione di Pietro profetizzata da Gioacchino da Fiore: Dopo che la Sedia era da due anni vacante, papa sarebbe fatto, nel giorno di penitenza e di gloria chi fosse venuto dalla selva e dal duro monte Appennino, scalzo, cibato d’erbe, avendo contemplato le nevi, levatosi in eterni pensieri. I cardinali (fra cui Bonifacio VIII) avevano scritto all’eremita una lettera pregandolo di accettare di salire al Soglio e lui, dopo un lungo tentennamento, li accontentò; ma non volle andare a Roma, sibbene, il 5 luglio 1294, a Perugia, dove avvenne l’elezione di Pietro per i seguenti motivi: in quella città il re francese era andato per sollecitare l’elezione di un papa in quanto desiderava che fosse ratificato l’accordo intervenuto tra lui e gli Aragonesi per il possesso della Sicilia; ma il Sacro Collegio rifiutò ed allora Carlo II d’Angiò raggiunse sul Morrone l’eremita, il quale si era ritirato all’eremo di Sant’Onofrio dopo aver sostato nell’Abbazia di Santo Spirito. Sulla montagna Pietro aveva nel frattempo ricevuto la missiva inviatagli dai cardinali. Quando arrivarono a Perugia Carlo II con il nipote Carlo Martello d’Ungheria e Pietro, i cardinali, Malabranca in testa, elessero il monaco: costui, disorientato, accettò malvolentieri. Poi fu consacrato, cioè nominato pontefice il 29 agosto 1294 all'Aquila, nel giorno della decollazione di Giovanni Battista, caro ai Templari. Istituì il primo vero giubileo dell’indulgenza plenaria (“Perdonanza”) con la sola contropartita del pentimento nel giorno di San Giovanni Battista. Fu in seguito condotto dal re a Napoli ove si stabilì. Passando per Montecassino annesse i Benedettini alla sua Congregazione.
Durante il suo breve pontificato sancì che i suoi monaci non fossero soggetti al vescovo. Altresì non seppe nascondere la vocazione spirituale, e, troppo debole, fece favori a chi li chiedeva, in particolare ai suoi Spirituali ed al re di Napoli Carlo II d’Angiò, il quale lo costrinse a nominare parecchi cardinali francesi.
Ormai vecchio e incapace di liberarsi delle continue richieste di favori da parte dei suoi monaci, e, soprattutto di Carlo II, il 13 dicembre 1294 volle abdicare. Era stato incoraggiato nella sua decisione dal cardinale Caetani, futuro papa Bonifacio VIII.
I cardinali, sconcertati, elessero papa il Caetani e dopo la elezione di quest’ultimo Celestino andò dal successore: in ginocchio chiese di essere liberato perché potesse tornare a fare l’eremita; ma Bonifacio rifiutò, per cui Celestino fuggì riuscendo ad arrivare fino a Vieste, aiutato dagli Spirituali e dai Templari. Il papa lo fece riprendere e lo rinchiuse in una cella nel castello di Fumone; qui, dopo il tentativo di fuga, Celestino, sempre acclamato dal popolo, era sorvegliato strettamente poiché Bonifacio temeva che il suo predecessore avrebbe potuto creare uno scisma fatale per la Chiesa e, ormai incattivito, cominciò a perseguitare gli Spirituali, specialmente dopo l’adesione di costoro al manifesto dei Colonna (1297), irriducibili avversari dei Caetani.
Nella cella in cui era stato rinchiuso il “pastore angelico” lasciò le spoglie terrene nel 1296; la salma fu sepolta ad una profondità di dieci braccia, in un luogo appartato, la chiesa rurale ferentinate di Sant’Antonio Abate, tenuta dai Celestini, attorno a cui sorgerà (o era stato strutturato o ristrutturato un complesso antoniano) un monastero celestino.
Nel 1313 Celestino V fu canonizzato da Clemente V (successore di Bonifacio VIII, il quale aveva beatificato il suo avversario).
L’eremita e il cardinal Caetani- Celestino V ebbe un carattere forte, deciso; fu addirittura testardo: non volle entrare nello Stato Pontificio per essere eletto papa. Restò eremita (gerosolimitano?), anche quando fu pontefice e proprio per questo rinunciò alla massima carica ecclesiastica. Bonifacio VIII, fine diplomatico e coltissimo giurista, era troppo intelligente per non accorgersi che il programma di Celestino era troppo chiaro quando questi assunse il nome di Celestino (Celestino III aveva approvato la Congregazione di Gioacchino da Fiore). Comunque forse Bonifacio, il quale si sentiva inferiore a Celestino quanto alla fedeltà al Vangelo e lo ammirava per la santità, cercò di piegare il papa angelico alla malleabilità e all’adattamento della Chiesa ai tempi nuovi.
Il gran rifiuto dantesco- Non credo che Celestino volesse rinunciare al papato, abdicò più che per gli ingannevoli (?) consigli di Caetani, per il disprezzo del lusso e l’amore per la contemplazione di Dio nella povertà dell’eremo: quindi non “viltà” bensì rifiuto al lusso della Curia e per nostalgia delle cose vili nel senso di umili.
Come morì il pastore angelico?- È stata riesumata l’usanza dei Merovingi, i quali bucavano la testa ai re morti perché ne uscisse l’anima, si è parlato di una analoga usanza dei Templari, si è parlato di un sicario di Filippo il Bello (successore di Carlo II) il quale avrebbe potuto accusare di assassinio Bonifacio, si è parlato di un chiodo troppo lungo nella cassa che avrebbe giustificato la versione della lunga agonia del Santo. Il professor Benvenuti, illustre sanitario incaricato di accertare la causa del buco nella tempia avrebbe individuato che quello sarebbe stato provocato da uno stiletto. Lo stiletto ha press’a poco il calibro di un chiodo per ferrare i cavalli, il che farebbe pensare che l’assassino potrebbe essere stato un maniscalco fanatico di Bonifacio; se invece trattasi di uno stiletto, l’assassino potrebbe essere stato un dignitario del papa. Ma costui era assente e comunque non sarebbe stato mai capace di passare alla storia come un papa assassino.