I racconti della faretra

L’intrepido e amorevole Clauro

Le vacche. Le recupera Clauro arrampicandosi agile su per i monti, in totale spregio del pericolo: da Jovana al Piano delle Cinque Miglia, dapprima con due compagni, che però abbandonano, valutando l'impresa impossibile. Prosegue Clauro. Era l'inverno del 1943, piovoso e fosco come pochi, e c’erano i tedeschi, che a Nunzio, padre di Clauro, avevano rubato le vacche. 
Io non so bene come abbia fatto, ma l’essenziale me lo raccontano Antonio ed Elisabetta, figli di Clauro, nipoti di Nunzio. Antonio insiste molto sulla follia di suo padre, condizione, aggiungo io, assolutamente necessaria per quell'impresa. Altro, però, spingeva quel giovane ventiduenne dall’aspetto esile: la ribellione all’invasore, al nazismo, al fascismo. 
Figlio di socialista, con un forte senso della giustizia e della libertà, non vuole arrendersi e ha successo. Il maltolto non era presidiato. L’arroganza dell’oppressore arriva a credere che gli oppressi siano inerti.
Clauro avvolge i batacchi con strisce di stoffa e in silenzio, muti i campanacci e mute tutte attorno le convalli, si avvia verso Scanno. Ma loro, le vacche, fanno resistenza, tornano indietro. E che? Vogliono rimanere là con i nazisti, con i ladroni? No, volevano dirgli che aveva dimenticato i loro figlietti, i vitellini. Clauro non li aveva dimenticati: non c’erano più, squartati e divorati dai tedeschi. 
A questo punto della storia l’intrepido Clauro diventa l’amorevole Clauro. Lascia che una dolcezza materna si faccia strada nel suo animo: le accarezza, le abbraccia e tornano a casa, alla Codacchiola. Su quell’acciottolato, reso lucido dalla pioggia, si specchia tutto il paese.