I racconti della faretra

VITTORIA, la bella ragazza che cullava un figlio che non arrivava

Zelinda al lago, sull'uscio della chiesetta, stretta nei suoi panni, sonnecchiando, forse sognando, chiude nella mano la buona offerta quotidiana. È marzo e i crocus già fanno spumeggiare la neve e da essa si ergono a pretendere la primavera che si affaccia e poi si ritira, vento e pioggia e poi sul lago foschia e il cielo diviene plumbeo. I suoni in quella stagione si sommano e rimbalzano, poi tutto tace, quando una folata li fa tornare. Un tonfo sordo come di voragine che si apre sotto i tuoi piedi e là, a pelo d'acqua, le pieghe della gonna pesanti e disordinate, le braccia che si agitano. Si precipita Zelinda, le tende un ramo secco: piangono e urlano, Zelinda e Vittoria, fino al gorgoglio.
Quella mattina erano mute le belle parole, le dolci voci, le colorate fiabe. Il silenzio le era guida al cupo fondo.
Si chiamava Vittoria, aveva 25 anni era moglie di un pastore, cullava un figlio che non arrivava, ne parlava con le comari; acciambellate sui gradini, si raccontavano di storie miracolose, di decotti e pasticci prodigiosi. Nascondeva nel seno tutti gli amuleti. Le storie che davano a Vittoria la forza di andare avanti si dissolvono quando la cognata la paragona ad un albero con rami secchi.
Raccontano di Vittoria, della bella ragazza che cullava il bambino che forse sarebbe arrivato.