In Myanmar l’esercito blocca i soccorsi nelle zone dei ribelli
Ai giornalisti stranieri è vietato l’ingresso nel Paese

In questi giorni le informazioni sulle conseguenze del grave terremoto di venerdì in Myanmar stanno arrivando in maniera intermittente e parziale, riportate soprattutto da fonti governative, da qualche collaboratore locale di grandi agenzie (Reuters, per esempio) e dai giornalisti della televisione cinese CCTV. Oltre a loro, gli unici giornalisti internazionali autorizzati a stare nel paese sono quelli di una troupe della televisione qatariota Al Jazeera, che erano nella capitale Naypyidaw già da qualche giorno: era stato dato loro un permesso speciale per seguire le celebrazioni per la festa delle forze armate che si tiene ogni anno il 27 marzo.
Il fatto è che da quando la giunta militare è al potere, cioè dal colpo di stato del 2021, per i giornalisti delle testate internazionali è diventato impossibile entrare in Myanmar, tranne appunto rarissime eccezioni. La chiusura totale è stata riconfermata anche dopo il terremoto, ufficialmente per «questioni logistiche», e anche oggi la maggior parte dei grandi media racconta quello che succede dai paesi vicini, soprattutto dalla Thailandia.
Dopo il grave terremoto che venerdì ha colpito il Myanmar, i soccorsi medici e gli aiuti umanitari hanno cominciato ad arrivare nella capitale Naypyidaw e in altre città come Mandalay. Ma a Sagaing, la più vicina all’epicentro, la prima squadra di soccorsi internazionali è arrivata soltanto lunedì, tre giorni dopo il disastro, mentre quasi tutti i camion di aiuti continuano a rimanere fermi ai posti di blocco.
Questo avviene perché Sagaing è uno dei centri della resistenza dei ribelli che da quattro anni combattono il regime militare che governa il Myanmar, in una guerra civile sanguinosa e brutale. Dopo il terremoto il regime, che controlla le grandi città, ha monopolizzato la gestione degli aiuti e sta bloccando o rallentando i soccorsi nelle zone dove i ribelli sono attivi, come appunto Sagaing.