Cocullo Cultura
9 Marzo 2025, 07:19
IL MISTERO DI SANT'AMICO IN DUE PUNTATE
Nino Chiocchio
Seconda puntata. Dalle vite coeve si evince che San Domenico abate avrebbe liberato dalle grinfie di un signorotto uno schiavo di quello, affrancandolo e suggerendogli che sarebbe stato protetto dai monaci del suo monastero se avesse voluto contribuire a coltivare le terre dei religiosi. Era, questa, una caratteristica dell’incastellamento, che però era consuetudinario da molti secoli: per non parlare di singoli casi, poco diffusi, di epoche lontane nel tempo e nello spazio.
Per parlare dell’incastellamento dalle parti nostre rileviamo che un esempio classico lo offrono le abbazie di Farfa e di San Vincenzo al Volturno, e San Pietro Avellana. L’abbazia di San Vincenzo al Volturno, in particolare, era una signoria territoriale che esercitava con giurisdizione vescovile sui rustici e non, che costituivano il nucleo incastellato; ormai ai Volturnensi, che si erano appoggiati ai Longobardi (Grimoaldo, duca di Benevento, adorava un serpente d’oro che conservava nel suo palazzo), stavano subentrando i Cassinesi i quali incorporarono insieme all’abbazia di San Vincenzo al Volturno San Pietro Avellana, e poi tutto a sua volta fu incluso nel Regno delle due Sicilie da re Ruggero II. Costui emarginò completamente le abbazie, sia quella di Montecassino che quella di San Vincenzo al Volturno, tolse ai monaci la facoltà di eleggere l’abate e le privò dei loro tesori.
Prima di passare alla interpretazione di Mons. D’Alessandro, riporto il sunto di una versione-velina che si avvicina molto all’ipotesi da me sempre ritenuta più credibile, in quanto essa raccoglie la trama scritta su un poligono che tocca gli angoli dell’ofiolatria, di Umbrone, di Amico-Domenico (tolleranza religiosa), Gioacchino da Fiore e Celestino V. Innanzitutto teniamo presente che Sant’Amico fu eremita anche nei pressi di Colle d’Arquata (Marche), vicino al corso d’acqua Chiarino, dove due secoli dopo ne ricalcherà le orme il suo seguace Angelo di Cingoli (o Fossombrone), detto poi “Clareno” dal nome del fiume e perseguitato da papa Bonifacio perché si era avvicinato alle posizioni degli “Spirituali Celestini”. Comunque Clareno era un Francescano Minorita Zelante e l’immagine del Santo di Assisi appare ancora oggi sugli architravi delle porte nel paese prima nominato: è il trigramma IHS (molto simile a quello emerso a Cocullo, durante i lavori per il consolidamento delle case attigue al castello) che riproduce il sole, simbolo tanto usato nel Medioevo soprattutto dal francescano San Bernardino da Siena, amico di frate Giovanni da Capestrano al quale Jacovella Piccolomini predispose la biblioteca in cui raccogliere le opere del Santo.
Tornando all’eremitaggio dei Francescani (metà 1200), notiamo che Angelo Clareno era stato un proselita di Gioacchino da Fiore che, ricordiamo, aveva una visione rigorosa dell’interpretazione evangelica e non approvava la corruttela e il lusso dell’alto clero. I Francescani Spirituali in un primo tempo furono condannati alla prigionia dal Superiore dello stesso Ordine (un cardinale), ma poi la pena fu attenuata dal successore che però li inviò come missionari in Armenia; solo dopo pochi anni poterono tornare agli eremi grazie alla petizione accolta da papa Celestino V, il quale anzi suggerì loro di fondare un nuovo Ordine ispirato alla Regola di Francesco d’Assisi continuando la pratica del romitaggio.
Intanto un movimento religioso, quello valdese, aveva preso una via orientata al futuro protestantesimo dal 1100 con una predicazione improntata al pauperismo: per questo la setta prima fu ostacolata poi scomunicata.
Nel periodo rinascimentale la marchesa di Pescara Costanza d’Avalos, moglie di Alfonso II Piccolomini, ospitò Vittoria Colonna (la cui famiglia era stata espulsa dallo Stato della Chiesa perché fedele agli Aragonesi non graditi alla famiglia Caetani): con lei fondò un circolo culturale femminile al quale non furono estranei uomini di spessore, quali Leonardo, Michelangelo, altri artisti e letterati. Soprattutto ospitò e sostenne coloro che auspicavano una riforma religiosa interessata a risolvere i problemi dei meno agiati nel quadro di una Chiesa rinnovata. Accolse anche, forse per questo motivo, un fratello del fondatore del Valdismo, Alfonso Valdès, il quale stigmatizzava la corruzione e il fasto della Chiesa di Roma. Le esponenti del circolo, Costanza, padrona di casa, e Vittoria, raccolsero le lamentele e le condivisero, esponendole e sollecitandone la soluzione a chi di competenza. L’auspicio di una nuova riforma, proclamata anche da suor Orsola Benincasa, fu caldeggiata dalle due nobildonne le quali favorirono un incontro della religiosa napoletana con il papa Gregorio XIII
Nel 1848 mons. D’Alessandro, canonico della cattedrale dei Marsi, scrisse sull’ “Enciclopedia dell’Ecclesiaste”: il Cristianesimo giunse da queste parti con la predicazione di San Marco il Galileo o di Atina, il quale portò il messaggio evangelico anche nell’antica Contea dei Marsi (la quale poi avrebbe compreso varie diocesi religiose fra cui quella di Valva)… Il Vangelo fu predicato ai Marsi da San Marco Galileo, battezzato e consacrato Vescovo di Sora e di Atina da San Pietro. San Marco deve essere considerato nostro vescovo, se in quegli anni in cui non erano conosciuti i confini della Diocesi, la religione marsicana fosse unita con quella di Atina per le funzioni dello spirito…
… A Cocullo il ricordo più antico ci porta, dunque, all’apostolato di San Marco il Galileo o di Atina, che secondo fonti accreditate avrebbe predicato nell’antica Contea dei Marsi …
fino al 1100 la diocesi di Atina era stata “nullius diocesis” (= “di nessuna diocesi”, cioè sede di prelatura o abbazia non soggetta a diocesi, ma con poteri uguali a quella) e dipendeva da Montecassino.
Treccani- “Probabilmente nel XII secolo a Sora fu annessa la soppressa diocesi di Atina, la quale tuttavia appare in un privilegio del 1195 tra le prepositure sottoposte all'abbazia di Montecassino. A partire dal XVI secolo, i vescovi sorani si applicarono per attuare in diocesi le riforme volute dal concilio di Trento.”
Potremmo arguire che vi sia stato un passaggio di testimone, a Cocullo, quando si delinearono i confini delle prime diocesi e già esisteva nel paese, da prima del 1183 (2) , tra le altre, una chiesa dedicata a Sant’Amico (che potremmo considerare una specie di pseudonimo di San Domenico).
Anche ad Atina, durante il paganesimo, si celebravano culti con l’assistenza dei flamini (cereale/ceriale, dedicato alle dee Cerere e Tellus; floreale, dedicato alla dea Flora; pomonale, dedicato alla dea Pomona; volturnale, dedicato al dio Volturno…). I flamini (lat. “flamen”) erano sacerdoti che presiedevano ai culti delle rispettive divinità pagane.
Nel trambusto che caratterizza le transizioni epocali i confini delle diocesi si gonfiavano e si restringevano a mo’ del mastice logoro di una vecchia fisarmonica che soffiava su un formicaio di eremiti veri e falsi, su una folla di rustici frastornati per l’improvvisa affrancazione e atterriti per qualche residua persecuzione nonché da gentili e cavalieri che invocavano un trattamento di favore per le anime dei loro defunti. In questa tregenda sarebbe ingenuo stigmatizzare la confusione del nuovo Dio con le divinità pagane. A questo proposito concludo con la traduzione dei versi iniziali e finali, di un inno su San Domenico, non ricordo se attribuito al Card. Alberico, in cui la Chiesa mi sembra che abbia opportunamente tradotto “Flamen” con “Spirito Santo”, cioè “soffio spirituale”.
L’invocazione iniziale è rivolta letteralmente a Cristo “scudo a protezione dei despoti,/ guida di tutti, luce dei fedeli,/ (sia) lode sempre a Te./ Celebriamo il trionfo del grande Signore,/ a cui attraverso Te è concesso di elevarsi sulle cose terrene (“saeclum”)/ e salire in cielo in questo giorno,/ (sia) lode sempre a Te”. Omissis: di seguito vengono elencati gran parte dei miracoli operati con l’intercessione del Santo, prodigi riportati nella famosa operetta dei “Miracula”. Chiude l’inno la seguente strofa: “La lode inneggi al Padre, e all’Amore verso il Padre,/ la lode inneggi allo Spirito Santo/ [in latino è scritto Flamen] a cui è sottomessa la schiera celeste/ per tutti i secoli. Amen”.
NOTE
1 - L’illustre studioso Marc Bloch ha affermato che è discussa l’esistenza della Diocesi di Atina per il fatto che essa si basa su scritti agiografici e non su testi storici. Va comunque notato che a Cocullo sono venuti sempre i pellegrini di Atina e, almeno negli ultimi decenni, non risulta che siano venuti quelli di Sora. Per me non è irrilevante il fatto per cui la Chiesa atinate abbia elencato una trentina di vescovi e che alcuni attestano l’esistenza della diocesi di Atina fino alla metà del 1500 e altri fino ad un paio di secoli dopo in conseguenza del passaggio alla diocesi di Sora.
2- Bolla di papa Lucio III, in cui sono citate altre chiese.