Il tessuto sbrindellato in sei puntate

III puntata - Si può parlare dei Piccolomini a Siena, dove arricchirono le origini e illustrarono la famiglia. Si può parlare di loro a Roma, dove avevano un palazzo monumentale che poi estesero nella chiesa di Sant’Andrea della Valle antistante ad una piazza chiamata dai Romani “di Siena” in omaggio ai signori che lo abitavano; si può parlarne a Celano, che era la capitale di una loro contea. Nell’Archivio del Municipio di Cocullo (feudo della contea) esistono due pergamene che li riguardano e che ribadiscono alcuni momenti delle difficoltà economiche in cui si trovò a dibattere la prosapia senese, difficoltà causate non solo dall’ostentazione dello sfarzo: analoghi documenti esisteranno anche in altri centri (Santo Stefano di Sessanio, Ofena, ecc.) compresi nei domini di quella, ma non so se essi siano collegati strettamente fra loro. Ambedue i documenti riguardano l’oggetto dello stesso contratto, stipulato nello stesso mese a distanza di cinque giorni, sia l’uno che l’altro registrati alla Camera Apostolica nel 1551 e redatti dallo stesso notaio (Simone Guy) in presenza degli stessi testimoni (Giovanni Battista di Venere e Pompeo Piccolomini); uno dei due ha per titolo “Ricompra di questa Terra di Cocullo fatta dall’Illustrissimo Barone Alfonso Piccolomini Napoletano dal Magnifico Pirro del Pezo Napoletano per il prezzo di docati mille et duecento con tutte le prerogative et i privileggi ut intus”. Si tenga presente che Pirro del Pezzo aveva comprato, però, concedendo il diritto di riscatto e che il duca di Amalfi, per raggranellare i soldi che aveva avuto a suo tempo da Pirro del Pezzo, fece una… colletta fra i terrazzani cocullesi riuscendo a coprire il debito esonerando gli stessi dal pagamento delle collette fino a quando non fosse riuscito a coprire la somma necessaria.
Il secondo contratto, datato 18 marzo 1551, è un bando con cui Alfonso (che potrebbe essere Alfonso II, successo nel 1535 all’omonimo che aveva ucciso Ruggerotto nel 1495, ma anche un suo successore) s’impegna solennemente “a beneficio dell’ “Università di Cocullo di molti privileggi particolarmente che non si possono vendere ne alienare ne impignare a nessuno et altre prerogative”. Contemporaneamente (nel contratto il notaio scrisse “…prout in Instrumento desuper confecto ad quod relatio habeatur plenius continetur…”) il duca, nonché conte di Celano, concede la disponibilità delle collette ai sudditi cocullesi in conseguenza del riscatto del paese da Pirro del Pezzo. Appongono la firma, per ribadire l’assunzione dell’impegno (“…promissio et obligatio suprascripta de non alienando…”), Indico con grafia incerta e Costanza.
 
Ecco il contratto con traduzione sintetica:

IN NOME DEL SIGNORE, AMEN
Alfonso Piccolomini di Aragona, duca di Amalfi ha ceduto al Magnifico Pirro del Pezzo di Napoli il castello di Cocullo, con il patto del riscatto « al prezzo e al valore nominale di milleduecento scudi» entro un tempo determinato. Ora l’università cocullese propone di riscattare e rilevare il maniero con i propri soldi « e restituire, cedere e consegnare lo stesso castello con la sua signoria, proprietà e possesso e con gli altri diritti e le sue pertinenze allo stesso Illustrissimo Signor Duca ». Omissis.
Davanti al notaio e ai sottoscritti testimoni signori Alfonso Renzi e Marino de gargaro, del detto castello il duca ha ceduto « le collette o entrate di Santa Maria, detta volgarmente di agosto,», delle quali (collette) il valore annuo (è) di circa cinquantacinque ducati. Naturalmente la temporanea concessione dei detti benefici è garantita con la massima disponibilità e con tutte le facoltà e ove necessario è sottoposta all’assenso regio. Tuttavia « fino a quando il predetto Illustrissimo Signor Duca, se stesso e eredi e successori, abbiano restituito i detti mille e duecento scudi agli uomini e all’università predetti realmente ed effettivamente, i quali mille e duecento scudi restituiti agli stessi università ed uomini, possa egli e sia in grado di ridarli in ogni tempo […secondo?] il piacimento e il desiderio del detto signor duca e dei suoi eredi: (allora) le collette o introiti predetti tornino allo stesso Duca e ai suoi eredi e successori e nella giurisdizione, nella signoria e nella proprietà di detto castello e di quel feudo, di diritto e subito […] e senza alcun contratto o scrittura legale o intervento di giudice. »
 “Per le quali cose, tutte e singole, così da mantenere, compiere ed inviolabilmente osser[vare….] il signor Duca ha obbligato sé stesso ed i suoi eredi e successori ed ha ipotecato qualunque bene suo, degli eredi e dei successori, e in particolare detto castello, fino a quando sarà riscattato, agli stessi università ed uomini”.
Segue, a sin., il disegno del sigillo con il motto “La pazienza si esalta nelle avversità”
Nel verso si legge:  “Ricompra di questa Terra di Cocullo fatta dall’Illustrissimo Barone Alfonso Piccolomini Napoletano dal Magnfico Pirro del Pezzo Napoletano per [il prezzo] di ducati 1200 […con?] le prerogative e i [privileggi] come nel recto (=”ut intus”)”
 Nell’aprile dell’anno 1571 Costanza da Napoli controfirmò l’atto compilato a Roma venti anni prima, esattamente il 18 marzo 1551 dal nonno Alfonso: sostanzialmente Costanza confermava che il castello di Cocullo non sarebbe mai stato venduto. Appongono la firma, per ribadire l’assunzione dell’impegno (“…promissio et obligatio suprascripta de non alienando…”), Indico, con grafia incerta, e Costanza.