Edizioni L'Atelier
23 Novembre 2025
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Nino Chiocchio, L’alba dei travetti e il crepuscolo dei travetti
VIII Capitolo - Giulia ed altri
Redazione
Scivolò molta acqua sotto i ponti. Forse i vortici hanno portato via, con i gorghi, il ricordo di qualche personaggio minore (?) a suo tempo reclutato nell’allegra comitiva; ma giammai la corrente trascinerà quello di Giulia. Arrivò in autunno. Giovanissima, aveva vinto un concorso a cattedre per l’insegnamento di Storia e Filosofia ed era stata assegnata all’Istituto Magistrale di Chieti. Era ospite dell’albergo “Salus”, dove allora Travetti ed i suoi amici consumavano i pasti. Una sera (era arrivata da un paio di giorni) sedeva tutta sola davanti ad un piccolo tavolo rotondo, al centro della sala, quando Enzo andò ad invitarla al tavolo della brigata, tavolo ch’era più grande e accogliente, nonché meritevole della presenza di una grossa personalità femminile, quale in effetti poi si manifestò nella nuova commensale; che non tardò a mostrarsi intelligente, colta, brillante. Giulia aveva dunque una bella personalità: non era fisicamente maggiorata, ma lo era intellettualmente, per cui sopperiva validamente alle carenze marginali. Era molto sportiva e insieme a lei ti veniva voglia di praticare tutti gli sports; con lei, che pure era maledettamente stonata, ti veniva voglia di cantare a squarciagola; con lei gustavi i più svariati generi di musica. Era un diavolo (buono e di classe). Prima di conoscere Giulia, gli amici non avevano avuto a che fare con i Torinesi; ma poi capirono ...com’erano arrivati i bersaglieri piemontesi: in una parola l’esuberanza dei settentrionali (non intendiamo alludere agli odierni Celti ed ai non meridionali in Padania) propiziò quel salto di qualità a cui gli amici erano stati preparati dal milanese Giancarlo.
Pian piano la cerchia degli amici si allargò fino al punto giusto: Gabriella, M.Rosaria, e, poco dopo, una delle coppie più simpatiche del mondo: Franco e Ambrosina. Ancora, Crescenzo ritrovò a Pescara Tonino l’aquilano con Giustino e Maria, altra giovane coppia d’eccellenza; poi conobbe Tonino il molisano, troppo presto convolato a nozze. Tutta gente che, quando il nostro non tornava dai suoi cari, gli scaldava l’anima pellegrina con l’affetto e con l’amicizia sincera, gente che visse con lui momenti felicissimi anche nell’intimità delle sue mura, dove si consumarono cenette squisite alternate a giochi di società e stridor di violino (quello comprato per tremila lire a Porta Portese) accompagnato prima dalla chitarra del primo Tonino (un molisano) e poi - sposatosi quest’ultimo e arrivato un suo omonimo - dalla chitarra del Tonino aquilano. Ad un lontano parente d’America, che gli aveva chiesto notizie, Crescenzo volle illustrare il suo Eldorado in una piccola e forse incompleta vetrina degli amici: “Ettore: se lo avessi conosciuto prima, forse avrei una maggiore dimestichezza con la musica, che per lui è mestiere e passione. Giulia, torinese, è forse una delle più simpatiche professoresse d’Italia. E’ volitiva. Il suo brio e la sua esuberanza mi hanno aiutato a capire perché i Piemontesi hanno creato lo Stato italiano, le squadre di calcio e le fabbriche di automobili. Giustino e Maria costituiscono una bella coppia, più aperta al dinamismo goliardico che alle remore del matrimonio non tanto recente. Dario, un caro compagno di Liceo, non gioca più a pallone; ora è il compìto maritino di una dolce signora e gli sono rimasti pochi capelli. Maria Rosaria è una simpatica forosetta dagli occhi grandi e buoni. Franco e Ambrosina, la coppia meglio assortita del mondo, par che si siano messi d’accordo per raccogliere uguali porzioni di stima e di affetto dagli amici; quanto a spirito goliardico, non hanno da invidiare neanche Giustino e Maria. Maria Gabriella: l’intelligenza e la spigliatezza ornano la sua arguzia spensierata; è ancora più brillante (e le capita spesso) quando la spontaneità si sincronizza con queste sue belle doti. Marisa: quante belle energie regalate allo Stato per uno stipendio da “statale”, neh Mariselle?! In tanti anni che abbiamo lavorato faccia a faccia non ti ho mai vista turbata. Avevi sempre il sorriso sulle labbra e negli occhi: così sono le creature buone. Gabriella è una fanciulla troppo brava per essere così tanto discreta e modesta. La sua grazia e la sua serietà si coniugano bene col sorriso splendente dell’altra dirimpettaia, Marisa la “statale”, con buona pace della “nuova” burocrazia. Per dire le virtù di Lucio occorrerebbero almeno due cose: una penna robusta e una risma di fogli. E’ un modello di rettitudine e di saggezza: solo chi ha una potente carica spirituale puó suscitare sentimenti di emulazione. L. e F. mi ricordano quei vecchi cow-boys laziali in corsa sulle praterie della Tuscia. Quanto ai Tonini, ben due molisani, la loro Terra mi ha dato due amici, l’uno più socievole e nel contempo più riservato dell’altro. Hanno avuto un solo difetto: quello di sposarsi anzitempo. Donato I: se Lucio è il filosofo della “metrocomia”, Donato I ne è il sofista e il politico. E’ più vicino a Guicciardini che a Machiavelli. E’ la dannazione di un anziano orefice, nostro commensale, quando fa le parti del Pubblico Ministero nei processi-farsa che celebriamo alla “Lucciola”. Donato II deve essere un bravo ragazzo, ma è introverso e taciturno; forse si trova un po’ a disagio nella nostra compagnia. Giancarlo è un giovane ingegnere milanese. E’ il più anziano, fra noi, ed è un formidabile organizzatore di cenette e di partite a poker. Tonino di Vasto è brillante e dissacratore: un monello che sa essere di volta in volta educato e scatenato. Piero è un caro pelandrone veneto che insegna Arte applicata e che ha rifilato a Giulia una collana ad un prezzo che lei gli ha rinfacciato per molto tempo. Pietro ha la faccia aperta ed è gioviale e sereno come un volo di gabbiani (o di corvi, quando rumoreggia). Spontaneo ed esuberante, non troppo raffinato negli impetuosi scoppi di risate, impersona il rotolare dei ciottoli e lo scrosciare dei torrenti della sua montagna. Ad una categoria affine, ma ad un livello di maggiore eleganza, appartiene Tonino dell’Aquila. Sincero e leale come puó esserlo un ufficiale degli Alpini, è instancabile e trova sempre il tempo per sistemare tutti i tasselli del mosaico che disegna la cerchia degli amici. Lo conosco da tanto tempo e ci sono andato sempre d’accordo. L. è un’autentica figlia della Maiella, che lascia trasparire un’anima semplice e schietta dietro la cordialità un po’ impacciata della gente della montagna. Luca è destinato anche lui a fare il ...servizio di leva burocratica lontano dalla sua Roma; brillò nella mia prima comitiva, ma senza eccedere, senza mai oltrepassare i limiti; credo che dopo qualche anno sia riuscito a farsi ingoiare dalla metropoli a lui cara. T. è uno dei migliori Presidi d’Italia, non solo perché mi ha fornito una delle tante paia di sci del figlio Nicola. Per lui l’Umanesimo non è rimasto relegato a qualche capitolo di Storia. E’ simpatico, cordiale, dinamico; a scuola, a casa e con gli amici. Pochi giorni fa costoro, eccetto il compassato preside, hanno animato il Carnevale di Lucio nel corso di un’indimenticabile serata che li ha visti quasi tutti riuniti in un salone fresco di vernice per brindare a Carnevale ed alla salute dell’ospite. A costui, socio di una cooperativa edilizia, era stato assegnato un bell’appartamento qualche tempo prima di Carnevale. Ora la palazzina era avvolta dallo scintillìo delle vette innevate esaltato dal tramonto recente. Le stanze erano nuove di zecca e aspettavano di essere inaugurate: furono addobbate con girandole di carta variopinta e con stelle filanti. Tutti gli amici si erano autotassati per acquistare anche dolci e liquori. Naturalmente si ballò; a volte accompagnati dalla musica di un vecchio fonografo, che gracidava asmatico, a volte trascinati dall’impeto travolgente di canti carnascialeschi. Così quei giovani dipendenti pubblici anticipavano il ...rimborso spese per le amarezze che sarebbero arrivate con la pensione.”
Palinuro e Peppinella - L’accavallarsi rapido delle avventure, in quella felice stagione, la successione spesso vertiginosa degli accadimenti, il tumulto dei moti giovanili, il reiterarsi di certe situazioni in tempi diversi, tutto questo puó incidere negativamente sul rispetto della cronologia nella narrazione, nella collocazione e nell’articolazione dei singoli episodi. E allora puó succedere che questi si inseriscano anche in momenti cronologicamente inesatti, precedenti o successivi a quelli del reale verificarsi, di una storia rivissuta nel ricordo emarginando i fatti che l’avevano puntellata: forse è un po’ quel che è successo a Travetti. Del quale possiamo considerare due periodi dell’”epopea teatina”: quello pedonale e quello motorizzato. Travetti arrivò a Chieti col treno; ripartì per Roma con l’automobile. Dunque la prima fase fu caratterizzata dal traffico pedonale e ferroviario (ivi compresi i frequenti spostamenti da Chieti a Pescara in autobus); ma quando aumentarono le conoscenze e, proporzionalmente, gli impegni, gli orari divennero iugulatori e, per rispettarli, Enzo fu costretto a passare al secondo evo, motorizzandosi prima con Peppinella e poi con la celeste Aida. Nell’inverno del 1963 il nostro aveva frequentato un’autoscuola (definita da Donato senior il “Politecnico di Crescenzo”) e nei primi mesi del 1964, conseguita la patente di guida, aveva comprato la sua prima automobile: era una FIAT 850 che battezzò col nome di “Peppinella”, perché quell’utilitaria, per gli sforzi che sopportava agevolmente, simboleggiava le floride ragazzotte di provincia di nome Peppa; eccettuate le ore in cui il padrone era in ufficio, la vettura era quasi sempre in movimento, né conobbe il garage. Affrontò i sentieri di montagna appena accessibili, salì più volte sui colli di Santa Filomena (allora lassù non c’erano i nastri d’asfalto), ove i Pescaresi avevano arredato qualche localino per ballare. Saliva impavida, imbottita di cristiani, e sembrava una scatola di sardine a motore.
Ormai Travetti non tornava più dai suoi col treno: c’era Peppinella. Però le prime volte fu cauto: passò nel paese natìo e caricò il cognato, il quale, essendo esperto nella guida, pilotava lui nel traffico della megalopoli. Ma una volta Pasquale (così si chiama) non si fece trovare; per cui Enzo, punto nell’orgoglio e armatosi di coraggio, proseguì da solo e gli andò bene. Solo che, prima di arrivare a Roma, si fermò davanti ad un passaggio a livello chiuso. Fu lì che un signore lo raggiunse e lo apostrofò accusandolo di una certa manovra sbagliata, da guidatore in erba. “Ma da quanto tempo ha la patente?”. E lui, candido, mentre estraeva il documento nuovo di zecca: “Da pochi giorni...”. In quel momento si rialzarono le sbarre ed ognuno riprese la sua strada sorridendo.
Tornò a Chieti, di nuovo a Roma, quindi a Chieti e, quando non tornava a Roma, a Rieti, ad Ancona, a Termoli, a Foggia... Lo sviluppo della rete autostradale non aveva ancora interessato la direttrice più frequentata da Peppinella (i collegamenti fra l’Abruzzo e il Lazio); ma ormai il nostro guidava con disinvoltura e fra l’altro gli piaceva di girare, di scoprire nuovi orizzonti, che erano sempre nuovi, specialmente quando si aprivano dietro la montagna: “Dove c’è gusto” recita un vecchio adagio “non c’è perdenza”. (Continua)

