Lunedì 20 Aprile 2020 - Sant'Agnese da Montepulciano, Vergine

Il tempo... ieri - GIORNATA NUVOLOSA FIN DAL MATTINO con poche schiarite e con vari tentativi di pioggia, risultati inutili. Correnti di aria dal tenore primaverile. Temperature stazionarie: mass. 20,2°; min. 13,2°C; attuale 14,8° (ore 23,30).
 
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LA "PESTE DI Palermo" (1575-1576)
In “Informatione del pestifero et contagioso morbo”
di Giovan Filippo Ingrassia
UNA TERRIBILE EPIDEMIA colpì Palermo nel 1575, precisamente la mattina del 9 Giugno, quando, nel quartiere di San Domenico si trovò una donna morta e dopo di lei anche un uomo, un mercante di tappeti che aveva avuto con lei rapporti sessuali.  Non si trattò di un delitto passionale, ma dei primi casi di peste, che divennero sempre più numerosi, dilagando in tutta la città, soprattutto nei quartieri che si affacciavano sul mare, più a contatto con le navi mercantili.
Il viceré don Carlo, duca di Terranova, nominò consultore uno dei più grandi medici di quel tempo, Gian Filippo Ingrassia (1510-1580), medico e anatomista, professore universitario, a cui viene attribuita la scoperta della "staffa", di un piccolo osso presente nell'orecchio. Ricoprì l'incarico con competenza e abnegazione, istituendo una commissione di medici e documentando le sue osservazioni e le cure adottate nel trattato: “Informatione del pestifero et contagioso morbo”. L’opera, presentando la cronaca attenta e puntuale degli eventi sanitari e socio-politici di quel momento storico, costituisce un valido documento del dramma vissuto dalla città di Palermo e offre interessanti spunti di riflessione alla medicina dei nostri giorni. E' scritto in lingua volgare e solo alla fine di ogni parte in latino per i dotti. Il trattato è diviso in quattro parti. Nella prima tratta il tema della peste, avanzando il dubbio se questo male sia vera peste o altro. Ingrassia si pone in dialogo con le posizioni di Ippocrate e Galeno, e disserta in chiave etimologica sui termini ‘epidemico’, ‘endemico’ e ‘pandemico’, definendone i diversi ambiti e connotazioni. Afferma che la vera peste è un morbo epidemico, velenoso, contagioso: mentre questo non è epidemico e quindi non è vera peste. Tralascia di parlare dei morbi sporadici. Riprende altre definizioni di peste, quali quelle di Filone Giudeo, Marsilio Ficino, ponendo l’accento sul fatto che la vera essenza della peste è la corruzione dell’aria e che in esperienze precedenti fu scacciata purificando l’aria con il      
fuoco e i corpi con la triaca.
Nella seconda parte Ingrassia muove alla ricerca delle cause della peste passando in rassegna una serie di condizioni che l'avrebbero potuto generare: ambiente, natura umana ed animale e le rispettive specificità ad ammalarsi. Fa notare che ‘peste’ e ‘fame’ hanno analoga etimologia ed entrambe coesistono nei malati. Contrasta le credenze dell’epoca, in base alle quali le malattie erano causate dal movimento delle stelle o dall’ira divina o ancora fossero generate da categorie di persone, considerate alleate di Satana, come gli Ebrei o le streghe. Rifiuta l'idea che sia una punizione divina o volontà di demoni, né tantomeno causata da raccolte d’acqua stagnanti, corpi in putrefazione, alimenti alterati, profondità della terra che si aprono in superficie attraverso crepe e fenditure. Conclude che il presente contagio non è vera peste perché non vi è inquinamento dell’aria. Osserva che la peste è circoscritta a Palermo, Messina, Sciacca ed a qualche altra città, e che gli ammalati si infettano tra loro o per contatto diretto o per mezzo di effetti personali.
«Hor sù - egli scrive nel suo trattato - ritorna(n)do al n(ost)ro p(ro)posito, diciamo, q(ue)sto n(ost)ro presente co(n)tagio, il qual hoggi affligge molte Città, e Terre di q(ue)sto Regno, no(n) esser vera peste, poiche no(n) veggiamo esservi corrottion d’aere. Avenga che no(n) solamente qui i(n) Palermo: Ma nè anco in tutte le Città, e terre di q(ue)sto Regno, nellequali hoggidi tira(n)nizza q(ue)sto impio morbo, no(n) si vede, nè s’è veduto segno alcuno di q(ue)ste cagioni inferiori, che possiamo dire, esservi corrottio(n) di aere p(er) q(ue)lle, nè di terra, nè di acqua. se ben fossino state nell’anno passato ta(n)te ino(n)datio(n)i di piogge. Nè si veggono a(n)i(m)ali generati di putredine, ta(n)to i(n) terra, E come i(n) aere, più del solito. Nè appaiono come p(er) lo passato mai no(n) apparvero nell’aria nubule, o altri segni di corrottion di q(ue)llo» r.g. (Continua).
Pietro Albì
Farfariel
Il Libro di Micù

Canzano, 1938: Micù è un bambino di dieci anni, nato in una famiglia rurale abruzzese e rimasto zoppo a causa della poliomielite.
Ogni mattina si sveglia affannato e in preda agli incubi più stravaganti. Come se non bastassero i patimenti che lo affliggono da sveglio!
Diverso dagli altri bambini, Micù cerca di crescere e trovare il suo posto in un ambiente ostile, che fatica a comprendere la sua condizione: tutti i giorni, oltre ai dolori e alla sua salute cagionevole, deve affrontare le prese in giro dei compagni, le sciocche superstizioni dei paesani e la diffidenza del padre nei confronti della scuola e del suo desiderio di continuare a studiare. Micù è davanti a una buca dietro il muro del cimitero, in quel punto in cui i suoi compaesani sono soliti seppellire gli animali o gli aborti. Con la coda dell’occhio vede il gatto tigrato che conosce da sempre, ma ha un particolare strano, una M proprio al centro della fronte. Quella M è propria dei gatti che non solo uccidono e stritolano i topi, ma che sembra ci godano ad andarli a cercare e stritolarli proprio quando le persone li guardano. A Micù la sua comparsa non promette nulla di buono, come un oscuro presagio, ma si fa forza e comincia a rimuovere la terra dalla buca, gli sembra di intravedere qualcosa che brilla fra la polvere. Un simbolo in rilievo, due alberi d’oro intrecciati. Poi d’improvviso una voce: “Che cirche, Micù?”. Cosa cerchi, Micù?, gli chiede la vecchia strega che tutti in paese conoscono come La Spiritosa. Che sia tutto un sogno? In fondo il piccolo Micù sa bene che il gatto tigrato ha quella M non nella realtà, ma solo nei suoi sogni, anzi nei suoi incubi sempre più ricorrenti. Mincù capisce che deve immediatamente svegliarsi, e per farlo deve ripetere molte volte la parola magica.
 
   abruzzo
Salgono a 2521 i casi positivi
al coronavirus in Abruzzo

Salgono a 2521 i casi totali di Coronavirus accertati in Abruzzo dall'inizio della pandemia, un aumento di 34 casi su un totale di 1028 tamponi analizzati. 317 pazienti sono ricoverati in ospedale in terapia non intensiva (-4 rispetto a ieri); 40 (-1 rispetto a ieri) in terapia intensiva (11 in provincia dell’Aquila, 8 in provincia di Chieti, 12 in provincia di Pescara e 9 in provincia di Teramo), mentre gli altri 1630 (+21 rispetto a ieri) sono in isolamento domiciliare con sorveglianza attiva da parte delle Asl.
 
   scanno
A SCANNO IN STREAMING
LA Santa MESSA

IERI, DOMENICA IN ALBIS, la santa messa, celebrata dal parroco nella chiesa madre di Scanno, è stata trasmessa in streaming, perché gli Scannesi residenti e i fuori sede potessero seguirla per sentirsi una comunità cristiana orante.
E’ questa la terza domenica di seguito che viene trasmessa in diretta, grazie alle competenze digitali di alcuni parrocchiani.
 
   editoriale
IL LUNEDI’ DEL DIRETTORE
"Orandum est ut sit mens sana
in corpore sano”
(Bisogna pregare che la mente sia sana nel corpo sano)

Il titolo di questo editoriale è un verso della Satira X del poeta e retore latino Giovenale, vissuto tra il primo e secondo secolo dopo Cristo.
Per il mondo classico l’ideale della perfezione umana era l’equilibrio fra le facoltà intellettive e quelle fisiche.
Mente e corpo, per il filosofo Platone sono due sostanze distinte, indipendenti. Egli sostiene che l'anima, quale centro della vita intellettiva ed etica dell'uomo, continua a vivere dopo la morte del corpo, avendo già prima una vita propria.
Sarà Il suo allievo Aristotele a rifiutare il dualismo, ritenendo che l'anima non possa essere separata dal corpo, in quanto ha in sé quelle capacità che consentono all'organismo di vivere. La tradizione cristiana accoglie questo concetto di Aristotele (ipse dixit!) e intende l’anima e il corpo quali componenti di un’unità sostanziale. Tale concezione ha dato vita ai nostri tempi alla medicina psicosomatica e alla pedagogia psicosomatica. Quest'ultima, in particolare, studia e attua tutte quelle strategie attraverso cui possano realizzarsi relazioni educative e formative, che supportino la persona nello sviluppo di comportamenti positivi nei riguardi del proprio benessere.
Stiamo vivendo un periodo difficile, in cui tutte le teorie psicologiche e pedagogiche sono annullate. Si sta dando molta importanza al corpo e poco all'anima (anche le chiese sono state chiuse). Quando, dopo un mese e mezzo di esclusione sociale, torneremo liberi, saremo gli stessi? Il Governo e le commissioni tecniche si stanno preoccupando di individuare strategie per risanare la morente economia, e non mi sembra che si stiano preoccupando della nostra salute mentale. Ci dicono di "restare in casa" per sfuggire al contagio del coronavirus, ma non considerano se nel frattempo si sia ammalata la nostra mente.
Non ci sono più canti dai balconi, non più suoni, ma solo denunce contro chi esce, contro chi decide di "medicare" la mente con una passeggiata.  La convivenza forzata, spesso in spazi angusti, sta demolendo nei più fragili
quell'equilibrio psichico, che ha bisogno di più attenzioni.
I nostri ragazzi hanno nostalgia della scuola, soprattutto i bambini, perché avvertono il bisogno della relazione, del contatto, delle conversazioni, dei diverbi, perché è con questi che si cresce.
E i nostri anziani, morti nella triste solitudine, senza un abbraccio, una carezza! Per salvare  il corpo, non abbiamo più pensato all'anima. Gli esperti hanno riportato in auge la "cultura alfabetica secondaria" quella della scrittura tramite computer, e la cultura visiva secondaria, invitandoci a produrre self e video, a disprezzo delle scienze dell'educazione che le ritengono dannose, senza l’aiuto degli insegnanti. I bambini hanno bisogno di muoversi, di agire, di manualità e non di essere "parcheggiati" davanti al televisore (cattivo maestro per per Karl Popper) o distratti con musichette di radio, i-pod, telefonini, computer, con tutte le immaginabili conseguenze, per non parlare della povertà economica che accresce ulteriormente la povertà educativa. Il pensiero va ai tanti bambini che vivono nelle baracche, in condizioni di scarsa igiene e con i tanti problemi di sopravvivenza.
L’emergenza ha reso inevitabile una sorta di sperimentazione di massa della “scuola a distanza”, attraverso l’uso di mezzi digitali. Questa ha portato alla luce l'impreparazione di gran parte dei docenti, la mancanza di infrastrutture pubbliche adeguate (banda larga, piattaforme didattiche digitali, ecc.) e di connessioni domestiche. Inoltre ha confermato le distanze socio-economiche e culturali. Se l'insegnamento a distanza potrebbe soddisfare gli alunni delle superiori, sicuramente non può sostituire la scuola dei gradi inferiori, che hanno bisogno di un sostegno adeguato da parte degli insegnanti, in modo particolare per i bambini con difficoltà di apprendimento. E poi vengono meno per tutti, grandi e piccoli, i rapporti umani, tra coetanei e tra adulti e ragazzi, che educano alla socialità e alla cittadinanza.
Non si vogliono riaprire le scuole per paura del contagio, dimenticando che corpo e mente non sono separabili.
E se a soffrire sono entrambi, vanno curati insieme. r.g.
 
   introdacqua
Dalla minoranza consiliare
ASSEGNAZIONE BUONI SPESA:
UN DISCIPLINARE
“INDISCIPLINATO” ED INESATTO 
Il gruppo di minoranza nei confronti
di cittadini ed esercenti esige
“trasparenza e giuste regole
INTRODACQUA - In seguito alle disposizioni emanate dal Governo, riguardanti l’assegnazione dei buoni spesa alimentare, per l’emergenza legate al covid-19, i componenti del Gruppo di minoranza “Legalità per Introdacqua” - Salvatore Esposito e Livio Susi - intervengono sulla vicenda. Afferma la minoranza: “In merito ai criteri per la concessione dei buoni spesa, di cui all’Ordinanza del Capo del Dipartimento della Protezione Civile nr. 658 del 29 marzo 2020, adottata al fine di fronteggiare i bisogni dei nuclei familiari con problematiche per l’approvvigionamento di generi alimentari, è doveroso, a questo punto, pretendere dei chiarimenti dal Sindaco...
 
   salviamo l’orso
APPELLO DELLE ASSOCIAZIONI:
PER FAVORIRE I CACCIATORI LA REGIONE
LAZIO METTE IN PERICOLO L'ORSO MARSICANO

Il governo intervenga sulla legge regionale del Lazio che aumenta la densità venatoria nell'area contigua del Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise
Le Associazioni WWF Italia, Enpa, Lac, Lav, Lega nazionale difesa del cane, Lipu, Salviamo l'Orso e Orso and friends hanno inviato una nota al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro dell'Ambiente per chiedere la parziale impugnativa della Legge della Regione Lazio n. 1 del 27 febbraio 2020 recante "Misure per lo sviluppo economico, l'attrattività degli investimenti e la semplificazione". Questa legge, all'art. 9, senza nessun collegamento con la portata della norma stessa, ha esteso la possibilità di accesso nell'area contigua laziale del Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise anche ai cacciatori non residenti, violando apertamente quanto stabilito dall'art. 32 della Legge quadro sulle aree naturali protette (Legge n. 394/1991) che, al comma 3, stabilisce che "all'interno delle aree contigue le regioni possono disciplinare l'esercizio della caccia... soltanto nella forma della caccia controllata, riservata ai soli residenti dei comuni dell'area naturale protetta e dell'area contigua...".
La norma nazionale indica chiaramente che nell'area contigua l'attività venatoria è riservata ai soli residenti dei comuni dell'area protetta e dell'area contigua, mentre la richiamata legge della Regione Lazio estende l'accesso anche ai non residenti, con conseguente aumento della pressione venatoria (che potrebbe anche raddoppiare!) in un'area fondamentale per la tutela dell'Orso bruno marsicano
(Ursus arctos marsicanus), specie a rischio di estinzione di cui si calcola che rimangono poco più di 50 esemplari che vivono solo nell'area del Parco e nei territori limitrofi.
Già in passato la Regione Lazio aveva tentato di introdurre l'aumento del numero dei cacciatori attraverso il calendario venatorio ricevendo delle solenni bocciature da parte del TAR Lazio e del Consiglio di Stato davanti al quale le associazioni di protezione ambientale erano state costrette a presentare ricorso. In particolare l'Ordinanza del Consiglio di Stato del 14 dicembre del 2018 aveva sancito un principio fondamentale: "(...) proteggere l'habitat di una specie protetta, come l'Orso bruno marsicano, in zone limitrofe al Parco Nazionale d'Abruzzo, deve ritenersi senza dubbio prevalente sulla pretesa regionale di garantire più spazi e più occasioni di prelievo alla comunità di cacciatori nell'esercizio dell'attività venatoria".
La Regione Lazio, bocciata davanti alla giustizia amministrativa, ha provato ora ad aggirare l'ostacolo attraverso una legge palesemente in contrasto con la legge nazionale vigente. Le associazioni sollecitano quindi un intervento del Governo affinché l'art. 9 della legge venga impugnato davanti alla Corte Costituzionale.
WWF Italia, Enpa, Lac, Lav, Lega nazionale difesa del cane, Lipu, Salviamo l'Orso e Orso and friends
 
   artigianato
fondo un flusso di richieste di sostegno così ingente, possiamo dire con soddisfazione che la tutela dei lavoratori dell’artigianato abruzzese non è venuta meno e che anzi ha risposto meglio di altri ammortizzatori sociali, dedicati a settori produttivi di norma più tutelati”.
Lo strumento Fsba è una tutela, ed anche una conquista contrattuale, che vede in prima linea l’enorme lavoro svolto delle parti sociali (Cgil, Cisl, Uil, Cna, Confartigianato, Casartigiani e C.L.A.A.I) pronte a garantire assistenza e garanzia di accesso al sostegno al reddito, soprattutto in questo momento di emergenza sanitaria così impattante sul mondo del lavoro per le aziende artigiane e ai lavoratori del comparto.
“Il lavoro svolto in questi difficili giorni – conclude D’Eliseo - nonostante l’impossibilità sugli spostamenti e la difficoltà di incontro tra le parti sociali, ha portato anche a livello nazionale dei risultati sorprendenti a garanzia di copertura degli ammortizzatori sociali per 555.751 lavoratori del comparto artigiano, dimostrazione che la bilateralità è uno strumento che funziona e che sopperisce alla mancanza di tutela ordinaria in alcuni settori lavorativi cardine del nostro paese”. Uil artigianato
Artigianato, cassa integrazione
per oltre 8 mila lavoratori in Abruzzo 

Ad oggi, 8324 lavoratori del comparto artigiano sospesi dal lavoro, per un totale di più di 2500 aziende, potranno contare su ammortizzatori sociali che garantiranno l’80 per cento della retribuzione, per un importo massimo mensile 1.193 euro lordi. E questo grazie al Fondo di Solidarietà Bilaterale per l’Artigianato (Fsba), gestito dall’Ente Bilaterale Nazionale per l’Artigianato, che a livello regionale è l’Ebrart (Ente Bilaterale Regionale per l’Artigianato d’Abruzzo).
“Il comparto artigiano – dice Ernesto D’Eliseo, coordinatore del comparto artigianato della Uil Abruzzo, coadiuvato dal delegato di bacino Valerio Camplone - è stato sicuramente tra i più colpiti dalla crisi del covid-19. Parrucchieri, estetiste, idraulici, falegnami, officine meccaniche, sarti, orafi, fabbri, panifici, acconcerie e altre decine di categorie che con le proprie mani letteralmente svolgono il proprio lavoro ogni giorno, si sono trovati dall’oggi al domani a fermare o a ridurre l’attività. Nell’emergenza sanitaria emersa, nonostante non fosse mai stato previsto per il        
 
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