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Lunedì 28 Agosto 2017 - Il Santo del giorno: Sant'Agostino, Vescovo e dottore della
Chiesa
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Il tempo... ieri - GIORNATA di caldo afoso per l’assenza di correnti che si sono sollevate solo in tarda serata. Gradi di calore
in aumento e al di là di ogni previsione. Temperature: mass. 33,8°C; min. 17,2°C; attuale 19,1°C (ore 23,30)
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bombardamento a sulmona
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Ieri, settantaquattro anni fa,
Dopo l’inferno fu il terrore
Dopo l’infernale bombardamento della stazione il 27 agosto del ‘43 e la distruzione della Montecatini del 3 settembre, fu il terrore a Sulmona, come in tutt’Italia.
Tutto tracolla in una tragica successione di eventi. L’8 settembre, l’armistizio, la fuga del re, il disorientamento totale per l'assenza di ogni ordine e disposizione alle
truppe e agli apparati. I tedeschi sono padroni del Paese, la capitale d’Italia è Berlino, comanda Hitler. Mussolini, liberato dal Gran Sasso il 12, lo stesso giorno in cui i tedeschi arrivano a
Sulmona, è ormai il simulacro di se stesso. Il 14, il Comando militare tedesco affigge il primo manifesto che ordina la consegna delle armi, impone il coprifuoco dalle 21 alle 5, vieta di dare ospitalità o anche solo dare da mangiare ai prigionieri di guerra fuggiaschi, mentre ne
obbliga l’ immediata denuncia. Persino per circolare con qualsiasi veicolo occorre una
speciale autorizzazione.
Il 17 ottobre viene distrutto a cannonate, con un puro atto di violenza e di spregio, l’antico venerato eremo di Celestino V, solo perché presunto rifugio dei prigionieri alleati, quando sarebbe stato facile stanarli e ricatturarli. Erano, infatti, disarmati. Il giorno prima, a Roma, 1259 ebrei sono deportati dal ghetto nei campi di sterminio in Germania, solo 16 ritorneranno a casa. Il 20 ottobre, alle ore 8 del mattino, i primi
condannati a morte. Il tragico rito si tiene proprio all’ingresso del cimitero di Sulmona. Le vittime sono quattro pastori di Roccacasale, catturati nei pressi
del castello D’Orsa. Il più vecchio, Giuseppe D’Eliseo, ha 67 anni, il fratello Antonio 57, il loro nipote, Antonio Taddei, il più giovane, ha appena 18, Giuseppe De Simone, un conoscente capitato lì per caso, ne ha 35. Prima dell’esecuzione sono stati sadicamente costretti a scavarsi la fossa. L’accusa è “possesso di armi”. Su quelle armi alcuni storici hanno poi lavorato di fantasia. Così Walter Cavalieri ricostruisce una scena epica attribuendo ai pastori una
militanza partigiana. Arriva a scrivere che “sbarravano il passo ad un forte contingente tedesco per consentire a numerosi
prigionieri angloamericani di mettersi in salvo fuggendo nei boschi”.
Sulla stessa linea Costantino Felice, peraltro di solito ben documentato.
Nel libro “E si divisero il pane che non c’era”, studenti e professori del liceo scientifico di Sulmona hanno ricostruito i
fatti raccogliendo testimonianze orali. Per giungere alla conclusione che quei
pastori erano “persone semplici e pacifiche, che non avrebbero
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RACCONTI
DI POLITICA INTERIORE
E’ in lettura il 42° racconto di “Politica Interiore”
di Angelo Di Gennaro dal titolo
“Tradizionare? Sì, ma per andare dove?
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certamente usato armi contro le persone, fossero pure tedeschi”. Il loro assassinio rappresenta il primo crimine commesso dai tedeschi nella Valle Peligna. Da allora, la loro ferocia si manifesterà con altre esecuzioni e stragi, come quella, terribile, inimmaginabile, di Pietransieri. Il giorno dopo, un manifesto terroristico annuncia l’esecuzione dei poveri pastori con la motivazione: “ trovati in possesso di rivoltelle, bombe a mano ed altre armi proibite”. Dopo oltre settant’anni rimangono senza risposta alcune domande. Erano a conoscenza i pastori, presumibilmente analfabeti e che vivevano per gran parte del tempo in montagna, del manifesto tedesco? E perchè erano armati? La spiegazione più convincente è forse quella di Rino Panza:”Quattro pacifici lavoratori, travolti nel ciclone di una guerra, che tanti altri
dolori continuerà ad arrecare all’Abruzzo ed all’Italia tutta. Accusati di essere in possesso di armi, in un momento in cui le
armi abbandonate erano disseminate dovunque, per lo sbandamento del nostro
esercito dopo l’8 settembre 1943, essi furono sacrificati dai tedeschi ad una linea di dura
intimidazione”. L’unica loro “colpa” era quella di aver aiutato qualche prigioniero per semplice carità cristiana come fecero molti nel nostro territorio. Dove, al di là delle interessate manipolazioni storiche postbelliche, una resistenza armata
partigiana non c’è mai stata. L’unica resistenza, che ci onora, è stata quella che è stata definita “resistenza umanitaria”, riassunta icasticamente dal titolo del libro “E si divisero il pane che non c’era”. Scrive da testimone e interprete Ottaviano Giannangeli, che quella diffusa , eroica, solidarietà “ subito si stabilì tra italiani ed evasi in nome di oppressi e sofferenti, di violentati ed offesi
che rianelavano alla libertà e alla vita”.
Dopo settantaquattro anni, un segno di quella feroce esecuzione è ancora lì. Sul muro di cinta del cimitero, a destra del cancello, sono visibili le
scalfitture delle pallottole assassine. Ezio Pelino
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lettera al direttore
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Da Igea
e da “Gli Allegri Di”A”lettanti”
Caro Roberto,
abbiamo letto con immenso piacere l’articolo che ci hai dedicato sul Gazzettino. Ti ringraziamo molto delle belle
parole che hai usato nei miei confronti e nei confronti dei componenti del
gruppo teatrale.
Mi sono commossa nel sentirmi giudicare così positivamente da te, persona della quale ho tanta stima e rispetto.
Ci siamo sentiti davvero onorati della tua presenza e siamo molto felici per i
tanti apprezzamenti che abbiamo ricevuto dal caloroso e affettuoso pubblico di
Scanno e da tutti gli amici presenti. Proporre una commedia inedita incute
sempre un certo timore…ma i tanti applausi ricevuti hanno pienamente gratificato il nostro impegno e la
nostra passione.
In fondo bastano un sorriso, un applauso e delle genuine risate, per ripagare
pienamente i tanti sacrifici che la realizzazione e la messa in scena, di uno
spettacolo teatrale, comportano.
Saremo lieti di informarti quando ci sarà una prossima rappresentazione!
Grazie di tutto!
Con grande affetto, Igea e “Gli Allegri Di”A”lettanti”
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il lunedì del direttore
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IL LUNEDI’ DEL DIRETTORE
Gli alberelli dell’alboreto
del Lago Pio,
morti per la siccità
Sabato mattina, andando al Lago Pio, ho avuto la triste sorpresa di vedere le tenere
pianticelle dell’Alboreto quasi tutte morte.
La morte è la condizione di ogni essere vivente e i vegetali non ne sono esenti. Muoiono
per malattia o per condizioni climatiche avverse. L’uomo, quando può, spesso viene in loro soccorso e le salva da una morte immatura. Le pianticelle
dell’arboreto sono morte per embolia, causata dalla siccità. Tutti i vegetali assorbono l'acqua attraverso le radici e la spingono verso
l'alto per idratare le foglie e sostenere la fotosintesi. Quando la carenza di
pioggia si fa sentire a lungo, le piante attuano dei meccanismi di protezione
che le portano a chiudere gli stomi riducendo la traspirazione, ma, se le
condizioni climatiche non migliorano, arriva la morte. Esse non hanno gambe e
per questo hanno bisogno dell’uomo per sopravvivere alla siccità. All’arboreto c’è il Lago Pio e gli alberi sono a pochi metri. L’alboreto è nella riserva naturale, che ha un direttore. Il direttore è sotto il controllo dell’amministrazione comunale. Il problema delle innaffiature non sarebbe dovuto
sussistere, perché il comune è dotato di un mezzo antincendio, ma anche in assenza di questo, sarebbero state
possibili con i mezzi tradizionali, visto la vicinanza con il bacino lacustre.
Questi i fatti. E lo stesso dicasi per la villetta di Santa Maria. Ricordiamo
che con delibera di Giunta numero 12 del 15.02.2014, l’amministrazione comunale
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decise di utilizzare il finanziamento di euro 202.196,09, nell'ambito del
PAR-FAS 2007-2013 linea d'azione IV.2,2.a, per il recupero e la valorizzazione
dell’arboreto forestale, situato al Lago Pio. Finanziamenti “bruciati” e non per cause naturali. (R. Grossi)
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villalago
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MICHELE GALANTE,
un giovane villalaghese
a pieno titolo “storico dell’arte”
VILLALAGO - Tra le varie monifestazioni culturali o pseudoculturali che si sono tenute nel
nostro paese in occasione dell’arrivo delle spoglie di San Domenico, una delle più riuscite è stata quella organizzata dall’associazione “Villalago in Flaturno”, avente il tema: Uno sguardo a San Domenico Abate nell’arte “Gentile”. Il giovane Michele Galante, dottore in storia dell’arte, ne è stato il vero protagonista. Un ragazzo dal percorso scolastico eccellente, dai
risultati sportivi (nel tennis) altrettanto gratificanti, ha dissertato sul
tema con spigliatezza e proprietà di linguaggio, dimostrando una padronanza della materia a lui congeniale con
stile sgarbiano. La sua lunga disanima ed analisi è stata tesa alla ricerca di alcuni elementi e tratti comuni nelle opere dei
grandi geni - Michelangelo, Raffaello, Tiziano, Caravaggio, ecc. ecc. - e in
quella del nostro pittore locale Alfredo Gentile. Quest’operazione è saltata subito all’occhio, a cominciare dalla scelta del bel manifesto ove sono messe a confronto,
a sinistra, una famosa opera del Caravaggio: il ragazzo morso dal ramarro e, a
destra, il miracolo dei pesci tramutati in serpenti. Entrambe le scene mostrano
una sorpresa inattesa da parte dei protagonisti e conseguentemente l’orrore che traspare dal loro viso. Dopo aver tenuto una vera “lectio magistralis” il nostro Michele (mi si permetta di chiamarlo affettuosamente così) ha illustrato con dovizia di particolari e grande naturalezza la propensione
verso l’arte di Alfredo Gentile che sin da adolescente lo aveva catturato. Alla presenza
dei rispettivi figli, Maria, Antonio e Raffaele e dei suoi nipoti, sono stati
resi noti episodi di vita del Gentile, dalla sua formazione a Sulmona alle
opere da lui prodotte che non sono solo a Villalago, ma nei paesi dell’intera Valle del Sagittario, lavori con al centro la figura di San Domenico
Abate. Al di là di tutto ciò che si è dissertato è emerso qualcosa di nuovo: la cultura.
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Finalmente qualcosa si muove nel deserto culturale in cui è vissuto a lungo il nostro paese, tranne qualche esempio facilmente
individuabile. Michele può e deve fare da traino ai tanti giovani, anche se in ambiti diversi, che magari
per ritrosia o paura non si mettono in evidenza, il paese ha bisogno di loro,
di una nuova linfa che possa un domani far vivere il nostro piccolo centro non
solo di vacanze e feste, ma anche di eventi culturali, ambientalistici,
sportivi e di varia natura.
Caro Michele, hai giovinezza, talento e grande empatia e comunicabilità, porti con te il D.N.A. del tuo bisnonno “Menecucce”, apprezzato e compianto da tutti, trasmessoti da tuo nonno Giuseppe e da tuo
zio Quintino, due valentissimi professionisti oltre che encomiabili volontari
del Mulino. Tutti noi villalaghesi ti facciamo gli auguri più belli a ché il tuo futuro possa essere pieno di successi e gratificazioni e, ricorda, porta
sempre nel cuore Villalago e i suoi abitanti, che ti vorranno sempre bene.
Lucrezia Sciore
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anversa
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Pizza sotto le stelle ad Anversa
ANVERSA - Organizzata dal Panificio Anversa, una riuscitissima festa della pizza, giunta
alla quarta edizione, ha tenuto desto il borgo dannunziano dalle ore 20,00 alle
ore 2,00. Tantissima gente si è messa in coda, formando lunghe file, davanti al panificio del paese, per
acquistare i gettoni utili al ritiro delle pizze e delle bevande. Una calda
serata, in compagnia dei Blue Night con musica revival, per gustare le
specialità ai peperoni, alle alici, alle zucchine, alle verdure o alle patate, nei tavoli
disposti lungo Corso Raynaldo di Anversa fino alla piazza. Oltre alle
dimostrazioni in strada del pizzaiolo Andrea Trovarello, che lanciava in aria l’impasto che andava affinando, quelle di piccoli pizzaioli in un tavolo di
laboratorio per bambini sono state l’attrazione della serata. Una manifestazione “gustosa” che ha riscosso tantissimo successo.
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