Quel Maggiore inglese amico di  Ettore Troilo
e dei partigiani abruzzesi
di Ezio Pelino
                                                            

E’ noto che la Brigata Maiella  fu una creatura di Ettore Troilo. Ma pochi conoscono chi credette nella sua impresa e si battè con il Comando inglese perché la riconoscesse e  sostenesse. Il maggiore Lionel Wigram. Tutti coloro che lo frequentarono  sono concordi nel dire che era un uomo straordinario. Di lui ci è rimasta una foto formato tessera che  lo mostra in divisa, pensoso, il volto da buono,  il sorriso appena accennato  dietro le lenti tonde cerchiate d’oro. Era  un avvocato londinese, non   un militare come lo volle la guerra. Aveva fatto buoni studi alla King Edward VII School di Sheffield e alla Oxford University. L’emergenza bellica  lo aveva portato ad insegnare  tattica per la fanteria nella Scuola di guerra  e , successivamente, era stato  promosso  istruttore capo alla Scuola di guerra. Era una persona schietta, semplice e, nel contempo,  eccezionale per quel senso di umanità, per quella apertura verso gli altri  che gli faceva superare le barriere linguistiche e culturali e le forti diffidenze nei confronti degli italiani, passati attraverso il   velleitarismo guerresco fascista,  il limbo badogliano, la  fuga del re, il crollo delle istituzioni, la spaccatura del Paese.  Lui va controcorrente, si fida degli italiani. Si fida di quei contadini, di quei pastori, di quegli studenti che odiano la guerra, che vogliono vivere in pace nella loro terra, che si ribellano alle vessazioni, alle razzie di bestiame,  agli eccidi tedeschi. Uno dei primi caduti del Corpo volontari  della Maiella, Donato Ricchiuti, di Lama dei Peligni, studente universitario, nel suo prezioso diario, parla di Wigram con entusiasmo, simpatia e commozione quasi filiale. Sono  le parole dei grandi momenti. Il Maggiore torna dal Castello Masciantonio di Casoli, sede del Quartier generale inglese, dove era andato, con Troilo,  a perorare la causa  italiana. La speranza si è realizzata. Il riconoscimento è stato ottenuto. Wigram porta l’annuncio: ”Sopraggiunse dopo non molto il maggiore inglese. Tornava dal comando di Casoli, i suoi occhi brillavano dietro i riflessi del fuoco sulle lenti incorniciate di oro. Era evidentemente soddisfatto. Ci strinse a tutti la mano, si congratulò, poi parlò:”Ragazzi, domani l’avanzata. Sono sicuro che ogni sforzo porrete per la riuscita di essa. E’ essa che dovrà condurvi alle vostre case; monconi di case, ma sempre vostri cari nidi d’infanzia. Parlava il suo cuore. Era corsa voce che era figlio di madre abruzzese, per noi però era un fratello più che un comandante. Era il propugnatore, era la fede di tutti, vero cuore di patriota, grande figlio d’Inghilterra”.  Ettore Troilo, riconoscente, scrive nella premessa del “Diario storico  della Brigata Maiella”: “Nei primi mesi di gennaio, grazie al vivo e fattivo  interessamento del Maggiore inglese Wigram, ebbi la soddisfazione di poter finalmente organizzare e costituire il Corpo dei volontari della Maiella”. Ha inizio così l’incredibile. L’avventura,  anzi l’epopea, di quel Corpo, che poi si chiamerà “Brigata Maiella”, che da Casoli risalirà l’Italia, accanto agli alleati,  oltre la linea Gustav, oltre la linea Gotica, per entrare per prima a Bologna.  I volontari non li unisce qualche ideologia.  Ma il tricolore e  la volontà di battersi per l’Italia. Vogliono vendicare i propri cari, difendere la loro terra, le loro case , sognano di costruire un Paese libero e nuovo. Una sola  opzione, di carattere istituzionale. Vogliono la Repubblica. Si rifiuteranno di giurare fedeltà al re,  ritenuto corresponsabile con Mussolini  del disastro dell’Italia. Per questo, non porteranno sul bavero le stellette ma le mostrine  tricolori e sul braccio lo scudetto in cui campeggia la Maiella. Il Maggiore, scrive lo storico Marco Patricelli, “ era riuscito a fare qualcosa che andava oltre il rapporto gerarchico: aveva instaurato un rapporto umano”. Dopo alcuni scontri vittoriosi in zona, il Maggiore volle attaccare una postazione strategicamente molto importante, Pizzoferrato.  Dall’alto della sua rupe  si  domina la valle del Sangro e il passaggio per gli altipiani e per Sulmona. Chissà, forse  egli pensava  che  si sarebbe potuta così anche aprire la via verso Roma. Partono di notte, fra il 2 e il 3 febbraio ‘44. Sono quasi un centinaio gli italiani, venticinque gli inglesi. Sarà una disfatta. Terribile. Il primo a cadere sarà proprio Wigram. Colti di sorpresa, all’intimazione di resa, alcuni tedeschi  alzano le mani , ma uno  spara colpendo il Maggiore, che prima di morire si preoccupa di dare le ultime disposizioni. Cadono sul campo 13 partigiani, 7 sono feriti, 13 vengono fatti  prigionieri. Due i morti inglesi e un ferito. I tedeschi, pur vincitori, accusano  20 morti. Difficile ricostruire  puntigliosamente le fasi della  battaglia e ancor più difficile individuare gli errori. Gli esperti di cose militari hanno attribuito al Maggiore  improvvisazione, sottovalutazione delle forze nemiche, e  altro ancora. Ma non c’è dubbio che la sua morte  repentina ha deciso le sorti dello scontro. E  certamente di questo non può essere rimproverato. L’ufficiale, venuto settanta anni fa dall’Inghilterra, per restituirci la libertà, non è più tornato in patria. Riposa nel verde cimitero militare canadese  di Ortona, accanto al mare Adriatico. La sua patria sarà, per sempre, l’Italia. Aveva  solo 38 anni, quel giorno della morte era il suo compleanno.

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