Terremoto in Abruzzo: il “discorso della montagna”

di Angelo Caranfa (*)

Il 6 aprile 2009, alle ore 3:32 circa del mattino, la città dell’Aquila e un’ampia fetta di territorio circostante sono colpiti da un terremoto di magnitudo Richter 5.8, intensità VIII-IX grado MCS (la vecchia scala Mercalli integrata) e un bilancio umano di circa 300 morti.
Parlando con la gente mi accorgo che il più delle volte stiamo ancora al livello di luoghi comuni del tipo: “Stasera c’è aria di terremoto”. Regna una diffusa disinformazione e una cronica confusione dei concetti basilari delle cosiddette “scienze della Terra”, come le chiamano in geologia. La sapete l’ultima? Non esiste alcuna “aria di terremoto”, così come non esistono “scosse di assestamento”, “terremoti sussultorii e ondulatorii”. Si tratta di terminologie vecchie, superate, quasi semplificazioni giornalistiche, create per mascherare la propria ignoranza e coltivare quella della mitica, “indromontanelliana” e (spero) ormai morta e sepolta “casalinga di Voghera”.
Ogni volta che si verifica un terremoto i sismologi si affannano a precisare la natura del sisma, parlano di “magnitudo Richter”, “repliche”, “rilascio di energia”, “aumento dello stress in settori crostali”, “profondità ipocentrali” ecc. ecc. Un ottantenne abruzzese che ha passato mezza vita a correre dietro alle pecore sulla Maiella, e l’altra mezza parcheggiato in una casa per anziani perché puzza troppo per abitare coi figli e il nipotame, come fa a capire tutti questi concetti? Per lui, accada quel che accada, l’importante è la certezza della sua magra pensione.
Da quel giorno ogni tanto qualcuno mi chiede se i terremoti sono prevedibili, ma la mia risposta è ovvia: oggi no, domani forse. E comunque, anche quando sarà possibile, non vorrei trovarmi nei panni di chi avrà il compito di avvisare la popolazione. Del resto non so quale sindaco o commissario di protezione civile si prenderebbe la responsabilità di ordinare lo sgombero di un’intera città, o anche solo di un paesino, dicendo: “Tra ventiquattro ore ci sarà un forte terremoto!”. Se poi non succede nulla sai che figuraccia. Uno smacco simile significherebbe: partiti politici che vanno in tilt, inchieste parlamentari, crisi di governo e raccolte di firme per indire un referendum affinché si abroghino per legge tutti i sismi di magnitudo inferiore a 5.
Basta vedere le reazioni generate da certe dichiarazioni rilasciate, poco dopo il 6 aprile, dal geologo e docente universitario Antonio Moretti a proposito del rischio prossimo venturo che Sulmona sia colpita da un forte terremoto. Non stiamo parlando del mitico “Big one” americano-holliwoodiano, stile “California men” che cavalcano le onde sismiche con la tavola da surf. Il nostro sarebbe una “botta” che certamente provocherebbe danni alla città e al circondario, pur senza produrre gli stessi esiti distruttivi dell’evento del 1706 (XI grado MCS, magnitudo stimata 6.6). Sempre che, sotto banco e aumma aumma, alcuni edifici della città non siano stati costruiti con lo sputo come all’Aquila.
Cari amici sulmonesi, avete scoperto solo adesso che la vostra città si trova in un’area ad alto rischio sismico (cioè è “sismogenetica”, altra parola misteriosa)? Ebbene prendetevela con chi vi ha amministrato per decenni e non ha mai pensato di farvelo sapere in modo chiaro, semplicemente perché “non era importante” o perché “non si volevano turbare gli animi con inutili preoccupazioni”.
Ma se arriva un terremoto che si deve fare? Come ci si deve comportare? Conoscete le norme consigliate? Propongo alcune opzioni: aprire una scatola di tonno e mangiarlo direttamente lì dentro; lavarsi i capelli con uno shampoo antiforfora allo zolfo; ballare la saltarella al centro del soggiorno per tutta la durata della scossa.
Le autorità (in generale) e la scuola italiana dovrebbero, loro per prime, attivarsi per agevolare la cultura della prevenzione. Il fatto è, però, che tutto ciò ha un costo economico e politico. Espressioni come “microzonazione sismica”, “onde prime”, “dromocrone” sono quindi condannate a restare stranezze da quiz televisivi, altro che sismologia. Vi sfido! Datemi la risposta giusta e non vincerete nulla, a parte un mio riconoscente e accorato “grazie di esistere”.
Altro aspetto: la vera (o presunta) scarsa memoria storica degli italiani. Nel 2004 la Deputazione Abruzzese di Storia Patria dell’Aquila tenne un interessante e fertile convegno al quale parteciparono molti studiosi quotati. L’argomento era il Settecento abruzzese, analizzato negli effetti che gli eventi sismici occorsi in quel secolo produssero sull’economia e società regionali del tempo. Gli atti dell’importante incontro sono stati raccolti in un volume di ben 1158 pagine per 2,4 kg di peso (!). Mi è bastato uno sguardo per restarne un po’ deluso. Per carità, gli interventi sono tutti corposi e dimostrativi della capacità, calibro e preparazione dei loro rispettivi autori, sebbene vi si trattino argomenti perlopiù in chiave molto “umanistica”. Il fatto è, però, che su un totale di trenta contributi appena uno e, dico, uno soltanto, riguarda lo specifico ambito geologico-sismico regionale.
Gli autori di questo breve “studio eroico” hanno dovuto condensare in venticinque pagine trentanni di studi sulla sismologia delle conche dell’Aquila e di Sulmona, per poi giungere alla conclusione che ci sono molti vuoti conoscitivi per carenza di studi scientifici mirati. Consiglio a tutti di leggere queste poche paginette perché fin da subito si percepisce il senso di ineluttabile inadeguatezza degli autori davanti alla necessità di spiegare e sapere ma con il peso dell’impossibilità di farlo, non certo per loro volontà ma per la carenza di mezzi e di opportunità.
Non mi si venga a dire che prima del 6 aprile nessuno sapesse della pericolosità sismica dell’aquilano e del sulmonese, perché basta aprire una qualunque guida turistica su quelle zone per trovarvi riferimenti, anche minimi, sui maggiori e più distruttivi eventi sismici del passato. I cataloghi dei forti terremoti, pubblicati da vari enti e istituti di ricerca, si basano proprio sulla memoria dei documenti, di qualunque tipo. Basta collegarsi a Internet per trovarli e consultarli.
Scrivere di storia è bello e divertente, scavare negli archivi in cerca di altre testimonianze storiche è bello e divertente, ma per proteggere (il più possibile) la popolazione dai terremoti servono ricerche scientifiche sul territorio, sondaggi, analisi e indagini. Serve un maggior investimento nel campo della ricerca e maggiori (spietati) controlli nei confronti di chi è deputato a costruire gli edifici, fin dal livello più basso della “filiera”. Servono amministrazioni locali “illuminate”, con il coraggio e la giusta capacità di rischiare, anche se le leggi sono contorte, le norme tecniche carenti o sibilline, arretrate o troppo facili da manipolare per interessi politici o particolaristici. Se a dirci che abitiamo in una zona a rischio sismico è addirittura Roberto Saviano, noto romanziere anticamorrista e antimafioso, vuol dire che stiamo proprio messi male.
Se dopo aver finito di leggere questo articolo avvertirete una scossa di terremoto, ebbene io non c’entro niente! Non fate che poi mi ritrovo la forza pubblica in assetto antisommossa, sindaci politicamente incazzati o parrocchiani beghini in odore di crociata, ammucchiati dietro la porta di casa mia per accusarmi di procurato allarme o di tutta una svariata serie di crimini contro l’umanità.

(*) (dottore in scienze geologiche)